Torniamo, però, all'inizio, all'isola nel mare, dove magari, come recente rispolverato in 52 della DC Comics, si vanno a rifugiare un gruppo di scienziati, preferibilmente pazzi, ma comunque tutti nemici della società. Questa interpretazione dell'isola, unita con il tema de Il signore delle mosche, unito a sua volta con le sempre immancabili critiche politiche e sociali, confluiscono ne L'isola prigione di Yusuke Ochiai, un manga che inevitabilmente, proprio per questa varietà di spunti, può essere apprezzato pienamente solo alla conclusione dei tre volumi nei quali la Magic Press lo ha raccolto.
L'idea è semplice: il Giappone ha deciso di sostituire la pena di morte con l'ergastolo in esilio su un'isola lontana e isolata. Su questa Isola prigione vengono inviati non solo gli assassini, ma un po' tutti coloro che hanno subito condanne per reati gravi. E qui arriva Mikoshiba Ei, ex giornalista, figlio di un famoso medico giapponese assassinato una decina di anni prima, a causa di un efferato pluri omicidio ai danni. All'inizio il lettore sa che Ei ha ucciso per essere mandato sull'isola e raggiungere, così, l'assassino del padre, il suo amico Sakaki, nonché assistente del professor Mikoshiba.
Con queste premesse si svolge un'avventura a tratti appassionante, che cattura il lettore pagina dopo pagina prima nella scoperta dei misteri dell'isola, un paravento dietro il quale si nasconde un laboratorio per portare avanti esperimenti genetici sugli esseri umani, con l'azione che si svolge tra combattimenti, flashback, fughe, ricostruzione certosina del puzzle proposto da Ochiai. Il manga, alla fine, partendo dal tipico tema dell'isola in mezzo all'oceano come luogo apparentemente irraggiungibile, come prigione, come vaso di Pandora dentro il quale rinchiudere la parte peggiore di noi stessi, diventa un modo interessante e per certi versi originale di riflettere sulla politica, sulla corruzione, sul denaro e sull'uso distorto, a fini personali o nazionalistici, della scienza, contrapponendo lo scienziato che sacrifica la sua stessa carriera se non addirittura la vita per la scienza come ideale, a quello folle, ossessionato non da ciò che può fare per tutti, ma da ciò che può ottenere per sé e per la propria nazione.
Certo in tutto questo calderone qualcosa si perde, è inevitabile, ma nel complesso i tre tankobon sono assolutamente godibili e interessanti.
Bene, voi utilizzate il DNA di un virus che causa il cancro nei topi, ma se questo virus lo mettete in un batterio che può colonizzare l'intestino umano, questo batterio non potrà poi provocare cancro nell'uomo?
(Renato Dulbecco)
Nessun commento:
Posta un commento