Dopo l'impegnativo post su Escher sul Cappellaio, questa recensione mi sembrava il modo migliore per non lasciare DropSea orfano di un post!
Ubik come ubiquo. In qualche modo, o comunque così sembra per buona parte del romanzo, il senso di quell'Ubik sembra proprio quello di ragionare intorno a un'entità onnipresente all'interno di una realtà alternativa dentro la quale si trova catapultato il protagonista, Joe Chip, e il gruppo di anti-precog di cui è a capo. E l'entità onnipresente sembra essere il suo capo, Glen Runciter, una specie di Palmer Eldritch, ma senza stimmate, ma posto in una specie di animazione sospesa, impossibilitato a morire definitivamente. La stranezza della cosa è che le sue funzioni cerebrali non sono raggiungibili, come invece succede normalmente per chi finisce in questa condizione (e ha abbastanza denaro per rimanerci).
Ubik, che nel romanzo è il nome di una specie di spray in grado di fare qualunque cosa, diventa allo stesso tempo il simbolo del divino, ma anche il simbolo della cultura consumistica, che nel mondo di Joe Chip è portata all'estremo, visto che bisogna pagare anche per aprire la porta della propria casa. E quindi è anche una precognizione dell'importanza che la nostra società avrebbe dato a questi simboli consumistici.
Il romanzo di Philip Dick, alla fine, non è tanto l'ennesima ricerca sul cosa voglia dire essere umani, ma piuttosto un romanzo sulla vita e sulla morte, sull'illusorietà della realtà e su quanto, in fondo, sia facile costruire un dio all'interno di un mondo, fittizio o reale che sia.
Alla fine Ubik si rivela un romanzo visionario, il cui finale sembra molto simile a quello di Inception di Christopher Nolan, un film che a suo modo è molto dickiano.
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