- porre domande;
- sviluppare e utilizzare modelli;
- pianificare e svolgere indagini;
- analizzare e interpretare i dati;
- utilizzare la matematica e il pensiero computazionale;
- costruire spiegazioni;
- argomentare a partire dai risultati;
- comunicare informazioni.
Stomachion
martedì 30 maggio 2017
Imparare a essere uno scienziato
Uno dei nodi centrali di Edu.Inaf sono le schede didattiche. I dettagli per lo sviluppo di questa parte del sito sono vari e disparati: dalla loro struttura alle linee guida per la loro progettazione fino alla filosofia didattica da adottare. In particolare risulta interessante quello che scrivono su astroEDU relativamente alle attività didattiche basate sula ricerca: gli elementi essenziali di tali attività sono riassumibili in questa serie di punti:
venerdì 26 maggio 2017
Le grandi domande della vita: una storia illuminante
Dopo la settimana di riposo, torna a fare (letteralmente) luce la serie più improbabile dell’universo (è che sono ancora influenzato dal towel day!).
Oggi uno degli assunti fondamentali per la teoria della relatività di Albert Einstein e della fisica è la costanza della velocità della luce. Ma come si riesce a calcolare tale valore?
Il primo a proporre una teoria della luce che prevedesse un valore finito per la sua velocità fu il greco Empedocle, ma, come molti dopo di lui, non fece mai alcun vero tentativo per misurarne il valore. Il primo a proporre un esperimento per lo scopo fu Galileo Galilei. Nel 1638, Galilei sugerì di misurare la velocità della luce utilizzando una lanterna posta sulla cima di una collina e quindi osservando il ritardo tra il momento in cui la lanterna viene coperta e quello in cui l’occhio percepisce tale evento. Il fisico pisano non riuscì a determinare se la luce viaggiasse istantaneamente o meno, ma concluse che in quest’ultimo caso doveva essere estremamente rapida.
Nel 1667 l’Accademia del Cimento di Firenze dichiarò di aver realizzato l’esperimento di Galileo senza aver osservato alcun ritardo: d’altra parte in un esperimento di tal genere il ritardo misurabile dovrebbe essere dell’ordine degli 11 microsecondi.
La prima stima quantitativa della velocità della luce venne fatta da Ole Rømer nel 1676 a partire dalle osservazioni delle lune di Giove, in particolare Io. Egli stimò che la luce impiegava 22 minuti per percorrere il diametro dell’orbita terrestre. Utilizzando questa stima, Christiaan Huygens stabilì in 220000 km/s la velocità della luce, ovvero circa il 26% più bassa rispetto al valore reale.
Nel 1826 Léon Foucault, perfezionando il metodo della ruota dentata sviluppato da Hippolyte Fizeau, fornì un valore incredibilmente vicino a quello reale: 298000 km/s. Foucault utilizzò degli specchi rotanti, cosa che fecero anche Albert Michelson e Edward Morley nel 1887 in quello che è ancora oggi l’esperimento più famoso sulla determinazione dela velocità della luce, soprattutto perché giocò un ruolo fondamentale nella discussione più generale sull’etere e nello sviluppo della teoria della relatività ristretta.
Nel 1983 la 17.ma Conferenza Generale sui pesi e le misure stabilì per la velocità della luce nel vuoto il valore costante di 299792458 m/s, rendendo così la luce una costante all’interno del sistema internazionale di misure.
Il primo a proporre una teoria della luce che prevedesse un valore finito per la sua velocità fu il greco Empedocle, ma, come molti dopo di lui, non fece mai alcun vero tentativo per misurarne il valore. Il primo a proporre un esperimento per lo scopo fu Galileo Galilei. Nel 1638, Galilei sugerì di misurare la velocità della luce utilizzando una lanterna posta sulla cima di una collina e quindi osservando il ritardo tra il momento in cui la lanterna viene coperta e quello in cui l’occhio percepisce tale evento. Il fisico pisano non riuscì a determinare se la luce viaggiasse istantaneamente o meno, ma concluse che in quest’ultimo caso doveva essere estremamente rapida.
Nel 1667 l’Accademia del Cimento di Firenze dichiarò di aver realizzato l’esperimento di Galileo senza aver osservato alcun ritardo: d’altra parte in un esperimento di tal genere il ritardo misurabile dovrebbe essere dell’ordine degli 11 microsecondi.
La prima stima quantitativa della velocità della luce venne fatta da Ole Rømer nel 1676 a partire dalle osservazioni delle lune di Giove, in particolare Io. Egli stimò che la luce impiegava 22 minuti per percorrere il diametro dell’orbita terrestre. Utilizzando questa stima, Christiaan Huygens stabilì in 220000 km/s la velocità della luce, ovvero circa il 26% più bassa rispetto al valore reale.
Nel 1826 Léon Foucault, perfezionando il metodo della ruota dentata sviluppato da Hippolyte Fizeau, fornì un valore incredibilmente vicino a quello reale: 298000 km/s. Foucault utilizzò degli specchi rotanti, cosa che fecero anche Albert Michelson e Edward Morley nel 1887 in quello che è ancora oggi l’esperimento più famoso sulla determinazione dela velocità della luce, soprattutto perché giocò un ruolo fondamentale nella discussione più generale sull’etere e nello sviluppo della teoria della relatività ristretta.
Nel 1983 la 17.ma Conferenza Generale sui pesi e le misure stabilì per la velocità della luce nel vuoto il valore costante di 299792458 m/s, rendendo così la luce una costante all’interno del sistema internazionale di misure.
giovedì 25 maggio 2017
L'ultima occasione
La passione per la scienza e le sue qualità affabulatorie hanno portato Douglas Adams in giro per il mondo e non semplicemente per pubblicizzare i romanzi della serie della Guida Galattica per autostoppisti o per una qualche convention tecnologica sull’ultimo oggetto uscito dalla casa della mela, ma anche per una ricerca apparentemente senza speranza: quella degli animali in via di estinzione.
Insieme con lo zoologo Mark Carwardine, Adams si è messo in viaggio con il beneplacito della BBC (che ovviamente ha utilizzato il materiale per una serie di documentari) sulle tracce del varano del Komodo, del parrocchetto (e altri volatili) di Mauritius, delle volpi volanti sempre delle Mauritius, di vari animali nello Zaire (ad esempio il gorilla di montagna o il rinoceronte o l’ippopotamo), in Nuova Zelanda sulle tracce del rarissimo kakapo, in Cina per vedere il delfino baiji che le autorità locali avrebbero protetto, ritenendolo un patrimonio della Cina al pari della famosa Muraglia.
Gli sforzi dei cinesi non sono stati coronati da successo: il baiji è stato dichiarato estinto nel 2006 e, nonostante nel 2007 venne avvistato un animale che gli somigliava, gli esperti ritengono che, anche fosse vero, comunque non avrebbe salvato dall’estinzione definitiva questa particolare razza di delfini di acqua dolce.
Il senso del viaggio di Adams e Carwardine è allora chiaro: avere un’ultima occasione per incontrare queste razze in via di estinzione, raccontare la loro lotta per la sopravvivenza, aiutati spesso da pochi individui isolati, come il barbuto e silenzioso Arab, protettore dei kakapo, un pappagallo notturno particolarmente schivo, anche con quelli della sua specie, motivo per cui si è ritrovato improvvisamente in pericolo di estinzione nel momento in cui i colonizzatori europei giunti in Nuova Zelanda hanno portato con sé dei formidabili predatori: i gatti. D’altra parte anche il kakapo non aiuta particolarmente bene la sua stessa causa: di fronte a un pericolo, infatti, si blocca, nella speranza di riuscire a mimetizzarsi con l’ambiente circostante.
Al momento, però, grazie alla protezione del governo neozelandese, questi particolari pappagalli si trovano in alcune zone protette sulle isole di Codfish Island e Anchor Island: i 126 esemplari della specie sono ancora con noi!
L’ultima occasione è un libro ricco di storie di questo genere, raccontato con un ritmo veloce e con il solito stile divertente (ma anche irriverente) del grandissimo Douglas Adams. Un libro da leggere che era stato pubblicato in Italia nel 1991 (un anno dopo la pubblicazione originale), ma che Mondadori ha ripreso lo scorso anno, ma visto che il towel day 2016 è stato occupato dal Salmone del dubbio, la recensione è stata rinviata alle celebrazioni di quest’anno.
Buon towel day a tutti!
Insieme con lo zoologo Mark Carwardine, Adams si è messo in viaggio con il beneplacito della BBC (che ovviamente ha utilizzato il materiale per una serie di documentari) sulle tracce del varano del Komodo, del parrocchetto (e altri volatili) di Mauritius, delle volpi volanti sempre delle Mauritius, di vari animali nello Zaire (ad esempio il gorilla di montagna o il rinoceronte o l’ippopotamo), in Nuova Zelanda sulle tracce del rarissimo kakapo, in Cina per vedere il delfino baiji che le autorità locali avrebbero protetto, ritenendolo un patrimonio della Cina al pari della famosa Muraglia.
Gli sforzi dei cinesi non sono stati coronati da successo: il baiji è stato dichiarato estinto nel 2006 e, nonostante nel 2007 venne avvistato un animale che gli somigliava, gli esperti ritengono che, anche fosse vero, comunque non avrebbe salvato dall’estinzione definitiva questa particolare razza di delfini di acqua dolce.
Il senso del viaggio di Adams e Carwardine è allora chiaro: avere un’ultima occasione per incontrare queste razze in via di estinzione, raccontare la loro lotta per la sopravvivenza, aiutati spesso da pochi individui isolati, come il barbuto e silenzioso Arab, protettore dei kakapo, un pappagallo notturno particolarmente schivo, anche con quelli della sua specie, motivo per cui si è ritrovato improvvisamente in pericolo di estinzione nel momento in cui i colonizzatori europei giunti in Nuova Zelanda hanno portato con sé dei formidabili predatori: i gatti. D’altra parte anche il kakapo non aiuta particolarmente bene la sua stessa causa: di fronte a un pericolo, infatti, si blocca, nella speranza di riuscire a mimetizzarsi con l’ambiente circostante.
Al momento, però, grazie alla protezione del governo neozelandese, questi particolari pappagalli si trovano in alcune zone protette sulle isole di Codfish Island e Anchor Island: i 126 esemplari della specie sono ancora con noi!
L’ultima occasione è un libro ricco di storie di questo genere, raccontato con un ritmo veloce e con il solito stile divertente (ma anche irriverente) del grandissimo Douglas Adams. Un libro da leggere che era stato pubblicato in Italia nel 1991 (un anno dopo la pubblicazione originale), ma che Mondadori ha ripreso lo scorso anno, ma visto che il towel day 2016 è stato occupato dal Salmone del dubbio, la recensione è stata rinviata alle celebrazioni di quest’anno.
Buon towel day a tutti!
domenica 21 maggio 2017
Dinasauri con le piume: Jianianhualong tengi
Non avrei scritto nemmeno una riga se no fosse stato per la puntata del Le grandi domande della vita sull’uovo e la gallina. Però, visto che in qualche modo dovevo recuperare la puntata del venerdì (che non è andata on-line per scarsa voglia dello scrivente…), allora ho deciso di recuperare la ricostruzione del Jianianhualong tengi fatta da Julius T. Csotonyi.
Questa nuova specie di dinosauro che assomiglia un po’ a un velociraptor con le piume (e senza sguardo criminale!): in effetti appartiene al sottogruppo dei microraptoria all’interno della famiglia dei dromaeosauridi, la stessa dei velociraptor (diciamo che sono in qualche modo cugini), ed è uno di quei dinosauri con le piume che potrebbe costituire uno dei vari passaggi che ha portato agli uccelli attuali. Ovviamente l’importanza del ritrovamento va al di là del dettaglio piumato che in questa sede mi interessa, pertanto invito i lettori a dare un’occhiata all’articolo su Nature Communications.
Questa nuova specie di dinosauro che assomiglia un po’ a un velociraptor con le piume (e senza sguardo criminale!): in effetti appartiene al sottogruppo dei microraptoria all’interno della famiglia dei dromaeosauridi, la stessa dei velociraptor (diciamo che sono in qualche modo cugini), ed è uno di quei dinosauri con le piume che potrebbe costituire uno dei vari passaggi che ha portato agli uccelli attuali. Ovviamente l’importanza del ritrovamento va al di là del dettaglio piumato che in questa sede mi interessa, pertanto invito i lettori a dare un’occhiata all’articolo su Nature Communications.
martedì 16 maggio 2017
I cieli di Brera: Homo sapiens nello spazio
Domani Stefano Sandrelli discuterà di conquista dello spazio per la seconda conferenza de I cieli di Brera. Appuntamento alle 18:00 presso la Sala della Passione della Pinacoteca nel Palazzo Brera, via Brera 28.
Qui sotto ben due abstract, quello di testo e quello video, girato da Laura Barbalini:
Qui sotto ben due abstract, quello di testo e quello video, girato da Laura Barbalini:
L'Homo sapiens ha conquistato lo spazio, prima volando in atmosfera, poi orbitando intorno al pianeta. E schiudendo le porte agli studi scientifici in assenza di peso. Ma non è certo stata la prima specie a farlo ne’ la più numerosa. Fra passato e presente, guardando al futuro, cercheremo di scoprire la scienza dell’uomo e dei suoi colleghi animali che lo hanno preceduto e accompagnato nello spazio. Con molta ironia.
venerdì 12 maggio 2017
Le grandi domande della vita: da Zermelo a Planck
Tra domande improbabili e argomenti seri in questa puntata scendiamo nelle fondamenta della matematica (ancora una volta!) e della fisica, partendo da...
Nel 1908, Ernst Zermelo propose un primo insieme di assiomi per la teoria degli insiemi, ma, come scritto nel 1921 da Abraham Fraenkel in una lettera allo stesso Zermelo, questa prima proposta risultava incapace di mostrare l’esistenza di alcuni tipi di insiemi o l’esistenza dei numeri cardinali.
A partire dal lavoro di Zermelo, nel 1922 Fraenkel e, indipendentemente, Thoralf Skolem svilupparono un nuovo sistema costituito da 8 assiomi che, insieme con l’assioma della scelta, costituiscono i così detti assiomi di Zermelo-Fraenkel e la base per la teoria degli insiemi e per la matematica tutta.
Nonostante i teoremi di incompletezza di Kurt Godel, che mostrano come in questo sistema esistano delle affermazioni indecidibili (ovvero di cui non è possibile valutare la verità o la falsità), la teoria degli insiemi di Zermelo-Fraenkel continua ad avere un’importanza essenziale nella matematica moderna, soprattutto per motivazioni storiche: tale sistema è in effetti la sintesi del lavoro di molti matematici e logici, tra cui non si può dimenticare Bertrand Russell, che accettarono la sfida di David Hilbert di risolvere l’ipotesi sull’infinito di Georg Cantor e di assiomatizzare in maniera completa la matematica. Questi sforzi, che alla fine portarono alla comprensione che non esisterà mai un sistema di assiomi che rende la matematica completa, continuarono comunque anche dopo l’accettazione della teoria ZFC, come ad esempio la teoria degli insiemi di Tarski–Grothendieck sviluppata da Alfred Tarski e Alexander Grothendieck(1).
A partire dal lavoro di Zermelo, nel 1922 Fraenkel e, indipendentemente, Thoralf Skolem svilupparono un nuovo sistema costituito da 8 assiomi che, insieme con l’assioma della scelta, costituiscono i così detti assiomi di Zermelo-Fraenkel e la base per la teoria degli insiemi e per la matematica tutta.
Nonostante i teoremi di incompletezza di Kurt Godel, che mostrano come in questo sistema esistano delle affermazioni indecidibili (ovvero di cui non è possibile valutare la verità o la falsità), la teoria degli insiemi di Zermelo-Fraenkel continua ad avere un’importanza essenziale nella matematica moderna, soprattutto per motivazioni storiche: tale sistema è in effetti la sintesi del lavoro di molti matematici e logici, tra cui non si può dimenticare Bertrand Russell, che accettarono la sfida di David Hilbert di risolvere l’ipotesi sull’infinito di Georg Cantor e di assiomatizzare in maniera completa la matematica. Questi sforzi, che alla fine portarono alla comprensione che non esisterà mai un sistema di assiomi che rende la matematica completa, continuarono comunque anche dopo l’accettazione della teoria ZFC, come ad esempio la teoria degli insiemi di Tarski–Grothendieck sviluppata da Alfred Tarski e Alexander Grothendieck(1).
mercoledì 10 maggio 2017
Longitudine
Alle origini degli Osservatori Astronomici non c’è la verifica della legge di gravitazione di Isaac Newton, ma un problema molto più concreto: la determinazione della longitudine.
La Terra è una sfera, cosa abbastanza nota (a parte qualche buontempone qua e là) sin dall’antica Grecia. Essa viene convenzionalmente suddivisa in 24 spicchi, ognuno largo 15°. Questo vuol dire che, conoscere l’angolo rispetto a un meridiano di riferimento, vuol dire conoscere la propria posizione sul globo, anche in considerazione del fatto che determinare la latitudine è molto più semplice grazie alla posizione del Sole o alla lunghezza del giorno o alla posizione delle stelle note sull’orizzonte.
Tale informazione (lo propria posizione sulla superficie terrestre) assume un’importanza essenziale sia per i commerci sia per le campagne militari, non solo sulla terra ma anche sul mare. Il problema è che determinare tale posizione è stato per molti secoli piuttosto complicato, almeno fino a che regnanti della Gran Bretagna non decisero di istituire un premio per risolvere l’annoso problema della longitudine.
Le strade che vennero intraprese furono due, una che volgeva il suo interesse verso il cielo, l’altro verso l’utilizzo di strumenti di misurazione del tempo. Nel primo caso, fino all’istituzionalizzazione della sfida, lo strumento migliore a disposizione era il sestante. Il suo utilizzatore, però aveva la necessità di conoscere i cieli, cosa non così scontata, e fu proprio per ovviare al problema che vennero istituiti i primi Osservatori Astronomici: il loro scopo era determinare le mappe del cielo nel modo più preciso possibile, in modo tale che la misurazione della posizione apparente di quelle stesse stelle in un’altra porzione del globo permettesse di determinare, attraverso le differenze, la posizione rispetto ai dati pubblicati sull’Almanacco di Greenwich. Questo divenne l’almanacco più utilizzato non solo per la forza della marina inglese dell’epoca, ma anche grazie al lavoro certosino dei vari Astronomi Reali che si sono succeduti alla guida dell’Osservatorio Reale di Greenwich, a partire da John Flamsteed, il primo, fino al reverendo Nevil Maskelyne, il cui impegno in particolare portò alla diffusione degli Almanacchi Astronomici e che potrebbe essere considerato il “cattivo” della storia.
Maskelyne, infatti, fu un grande fautore del metodo celeste per la determinazione della longitudine contro la misurazione del tempo. Consideriamo che l’unico modo che all’epoca si riteneva valido per determinare l’ora sul mare era il pendolo, che però risentiva dei cambiamenti climatici e, in minima parte, anche dei movimenti della nave causati dalle onde del mare. Poiché ogni minimo errore rischiava di modificare di molto la posizione calcolata rispetto a quella reale, misurare la longitudine attraverso il tempo implicava migliorare e di molto gli strumenti di misurazione del tempo: gli orologi.
Tale informazione (lo propria posizione sulla superficie terrestre) assume un’importanza essenziale sia per i commerci sia per le campagne militari, non solo sulla terra ma anche sul mare. Il problema è che determinare tale posizione è stato per molti secoli piuttosto complicato, almeno fino a che regnanti della Gran Bretagna non decisero di istituire un premio per risolvere l’annoso problema della longitudine.
Le strade che vennero intraprese furono due, una che volgeva il suo interesse verso il cielo, l’altro verso l’utilizzo di strumenti di misurazione del tempo. Nel primo caso, fino all’istituzionalizzazione della sfida, lo strumento migliore a disposizione era il sestante. Il suo utilizzatore, però aveva la necessità di conoscere i cieli, cosa non così scontata, e fu proprio per ovviare al problema che vennero istituiti i primi Osservatori Astronomici: il loro scopo era determinare le mappe del cielo nel modo più preciso possibile, in modo tale che la misurazione della posizione apparente di quelle stesse stelle in un’altra porzione del globo permettesse di determinare, attraverso le differenze, la posizione rispetto ai dati pubblicati sull’Almanacco di Greenwich. Questo divenne l’almanacco più utilizzato non solo per la forza della marina inglese dell’epoca, ma anche grazie al lavoro certosino dei vari Astronomi Reali che si sono succeduti alla guida dell’Osservatorio Reale di Greenwich, a partire da John Flamsteed, il primo, fino al reverendo Nevil Maskelyne, il cui impegno in particolare portò alla diffusione degli Almanacchi Astronomici e che potrebbe essere considerato il “cattivo” della storia.
Maskelyne, infatti, fu un grande fautore del metodo celeste per la determinazione della longitudine contro la misurazione del tempo. Consideriamo che l’unico modo che all’epoca si riteneva valido per determinare l’ora sul mare era il pendolo, che però risentiva dei cambiamenti climatici e, in minima parte, anche dei movimenti della nave causati dalle onde del mare. Poiché ogni minimo errore rischiava di modificare di molto la posizione calcolata rispetto a quella reale, misurare la longitudine attraverso il tempo implicava migliorare e di molto gli strumenti di misurazione del tempo: gli orologi.
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sabato 6 maggio 2017
Le grandi domande della vita: speciale Ridi Topolino
Puntata uscita con un giorno di ritardo: la lettura prima di tutto. E poi dovevo anche smettere di ridere!
Ritorna in edicola la mitica Ridi Topolino, con una raccolta speciale di alcune delle storie inedite uscite sul bimestrale e realizzate da Tito Faraci e Giuseppe Ferrario. Se Panini ci delizierà ancora una volta con questa rivista, solo il tempo ce lo dirà, ma è certo che è stata di ispirazione non solo per la carriera fumettistica di un tale di nome Sio, ma anche questa puntata de Le grandi domande della vita (e forse in qualche angolino del mio cervello anche della rubrica stessa!). Come abiamo già visto, ci sono volute 300 e più pagine a Bertrand Russell e Alfred North Whitehead per dimostrare che $1+1=2$. Questo è un esercizio abbastanza complicato quando si vuole scendere nelle profondità del mare matematico, oppure ecessivamente banale quando, alla domanda, si fornisce la risposta, perché $2$ è definito come $1+1$. Una dimostrazione, che forse non avrà la completezza formale di quela di Russell, ma che è anche didatticamente utile, può tranquillamente utilizzare i postulati del matematico italiano Giuseppe Peano(1):
Dalla sua definizione e dai postulati 1 e 2, segue che $2 \in N$.
Possiamo allora dimostrare che $1+1=2$:
Ritorna in edicola la mitica Ridi Topolino, con una raccolta speciale di alcune delle storie inedite uscite sul bimestrale e realizzate da Tito Faraci e Giuseppe Ferrario. Se Panini ci delizierà ancora una volta con questa rivista, solo il tempo ce lo dirà, ma è certo che è stata di ispirazione non solo per la carriera fumettistica di un tale di nome Sio, ma anche questa puntata de Le grandi domande della vita (e forse in qualche angolino del mio cervello anche della rubrica stessa!). Come abiamo già visto, ci sono volute 300 e più pagine a Bertrand Russell e Alfred North Whitehead per dimostrare che $1+1=2$. Questo è un esercizio abbastanza complicato quando si vuole scendere nelle profondità del mare matematico, oppure ecessivamente banale quando, alla domanda, si fornisce la risposta, perché $2$ è definito come $1+1$. Una dimostrazione, che forse non avrà la completezza formale di quela di Russell, ma che è anche didatticamente utile, può tranquillamente utilizzare i postulati del matematico italiano Giuseppe Peano(1):
- $1$ è un numero appartenente a $N$
- Se $x$ è un numero in $N$, allora il suo sucessore $x'$ è in $N$
- Non esiste alcun $x$ tale che $x' =1$
- Se $x$ non è $1$, allora esiste un $y$ in $N$ tale che $y' = x$
- Se $S$ è un sotoinsieme di $N$, $1$ è in $S$, e l’implicazione $X \in S \Rightarrow x' \in S$ è vera, allora $S=N$
Siano $a$, $b \in N$. Se $b=1$, allora, utilizzando i postulati 1 e 2, $a+b = a'$. Se $b$ è diverso da $1$, alora sia $c' = b$, con $c \in N$ (dal postulato 4), e per definizione $a+b=(a+c)'$.
llora devi definire $2 = 1'$.Dalla sua definizione e dai postulati 1 e 2, segue che $2 \in N$.
Possiamo allora dimostrare che $1+1=2$:
Prendiamo la definizione della somma e applichiamola al caso in cui $a=b=1$:
\[1+1=1'=2\]
Esiste una formulazione differente dei postulati di Peano che sostituisce l'$1$ con lo $0$ nei postulati 1, 3, 4, 5. Questo costringe a modificare la definizione della somma:
Siano $a$, $b \in N$. Se $b=0$, allora per definizione $a+b = a$. Se $b$ è diverso da $0$, allora sia $c' = b$, con $c \in N$, e per definizione $a+b=(a+c)'$.
Quindi si definiscono $1 = 0'$, e $2 = 1'$. La dimostrazione del teorema sulla somma delle due unità diventa leggermente differente:
Utilizzando la seconda parte della definizione della somma si ottiene:
\[1+1=(1+0)'\]
e utilizzando la prima parte nelle parentesi si ottiene:
\[1+1=(1)'=1'=2\]
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