Il primo esempio in cui emerge una strategia apparentemente pre-ordinata è il gioco del Pengi basato sul quasi omonimo Pengo. Un pinguino si muove dentro un labirinto fatto di cubi di ghiaccio e diamanti e abitato da api volanti. Il pinguino deve raccogliere tutti i diamanti, evitando di venire schiacciato dai blocchi di ghiaccio o punto dalle api. Il pinguino può reagire spingendo il cubo e provando così a uccidere le api. Ogni cubo di ghiaccio può essere spostato in qualunque direzione a meno che non vi sia un cubo vicino posto nella direzione del moto. Il cubo può spostarsi fino a che non in contra il bordo del mondo, un diamante o un altro cubo. Se nel suo percorso incontra un pinguino o un’ape, li schiaccia.
In una situazione del genere la strategia adottata dal giocatore medio è quella di raccogliere il più velocemente possibile i diamanti evitando quanto più cubi e api.
A questo punto si possono trattare ciascuno degli elementi del Pengi come una sorta di automi, definendo il comportamento di ciascuno in funzione del loro grado di soddisfazione. I più semplici sono i diamanti, che sono soddisfatti in qualunque condizione, anche all’interno della collezione del pinguino; all’opposto il comportamento dei cubi di ghiaccio non è dovuto ad alcuna forma di soddisfazione, ma è una semplice reazione agli stimoli esterni (spostarsi nella direzione e verso opposti alla spinta ricevuta e schiacciare chiunque si trovi sulla sua strada)(1).
Le api, invece, sono soddisfatte quando possono muoversi liberamente all’interno dl proprio spazio vitale: definendo un’area entro la quale le api si sentono al sicuro, questo implica che l’ape che rileva un pinguino o un cubo di ghiaccio all’interno di tale area lo attaccherà. Inoltre i movimenti delle api sono tendenzialmente casuali(1).
Il pinguino, infine, è soddisfatto quando riesce a raggiungere e ingurgitare i diamanti. Questi, inoltre, presenta due strategie difensive: spostarsi lungo una traiettoria perpendicolare quando viene attaccato da un cubo di ghiaccio e allontanarsi il più possibile quando si ritrova all’interno dell’area di sicurezza di un’ape. La sua unica strategia aggressiva è spostare un cubo(1).
Una volta definiti in questo modo i comportamenti degli attori, si possono lanciare un certo numero di partite e osservare il comportamento del pinguino, che non è stato programmato con nessuna tattica particolare a parte la strategia a breve termine su esposta. L’aspoetto interessante è che il pinguino sembra mostrare una tattica che potrebbe essere scambiata per quella decisa aprioristicamente da un qualche video-giocatore(1). Un approccio simile può essere utilizzato per sviluppare un software in grado di giocare a un livello decente (ad esempio quello di chi impara gli scacchi in gioventù e che non trova il tempo di allenarsi più di una volta a settimana). In questo caso ciascuno dei pezzi viene trattato come un automa con il proprio comportamento specifico, in cui vengono descritte le mosse consentite e la forza del pezzo. I risultati di circa 200 partite contro un avversario umano medio sono stati di 57 vittorie, 83 sconfitte e 60 patte. Se, invece, si alza la posta facendo confrontare il software con GNU Chess, MARCH pareggia 3 partite su 50 perdendo il resto. In questo modo l’esperimento ha dimostrato che:
- un sistema con molti agenti è in grado di giocare a scacchi come un giocatore umano medio (quindi, per dirla con il titolo dell’articolo, le formiche sono in grado di giocare a scacchi!);
- emergono alcune strategie durante il gioco, ma non durano per tutto il gioco;
- quando MARCH affronta un avversario con una strategia forte, come GNU Chess, non è in grado di costruire una reazione adeguata;
- la maggior parte delle vittore di MARCH avvengono nelle fasi finali delle sue partite, mentre la maggior parte delle sconfitte sono originate nella fase di apertura; questo dimostra l’importanza dell’apertura nel gioco degli scacchi e, soprattutto, mostra quanto sia complesso riuscire a realizzare una buona apertura e quanto sia difficile recuperare da una pessima apertura(1).
In realtà il fatto che questi giganteschi mammiferi non sono in grado di giocare a scacchi non implica che, se messi in condizione, non sarebbero in grado di farlo!
Per riprendere quanto scritto da Rodney Brooks in un interessante articolo sulla costruzione dei robot(2):
(...) non è giusto affermare che un elefante non ha intelligenza che vale la pena studiare solo perché non gioca a scacchi.Che effettivamente è una lezione vera e propria al genere umano sulla nostra presunta superiorità intellettiva nel mondo animale.
- Drogoul, A. (1993, August). When ants play chess (or can strategies emerge from tactical behaviours?). In European Workshop on Modelling Autonomous Agents in a Multi-Agent World (pp. 11-27). Springer, Berlin, Heidelberg. doi:10.1007/BFb0027053 (pdf)↩
- Brooks, R. A. (1990). Elephants don’t play chess. Robotics and autonomous systems, 6(1-2), 3-15. doi:10.1016/S0921-8890(05)80025-9 (pdf)↩
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