Stomachion

venerdì 7 settembre 2018

I Rompicapi di Alice: Gli elefanti non giocano a scacchi. Le formiche invece si

Come abbiamo visto, le formiche in matematica sono un ottimo esempio di automa cellulare. Avendo questo in mente possiamo utilizzarle per giocare a scacchi!
Il segreto è la strategia
Esiste la così detta scienza militare. Si occupa di stabilire la strategia migliore durante una battaglia. Il modo corretto (o comunque quello largamente utilizzato) per realizzarla è avere una visione globale di quanto avviene sul campo di battaglia e nei suoi dintorni. In questo senso uno dei giochi in cui la strategia ha il peso maggiore è indubbiamente quello degli scacchi: avere una visione globale e una strategia a lungo termine può decisamente fare la differenza. Eppure esiste una possibilità di costruire una strategia a partire del così detto comportamento tattico, ovvero un attegiamento che tiene conto poco o per nulla del lungo termine.
Il primo esempio in cui emerge una strategia apparentemente pre-ordinata è il gioco del Pengi basato sul quasi omonimo Pengo.
Un pinguino si muove dentro un labirinto fatto di cubi di ghiaccio e diamanti e abitato da api volanti. Il pinguino deve raccogliere tutti i diamanti, evitando di venire schiacciato dai blocchi di ghiaccio o punto dalle api. Il pinguino può reagire spingendo il cubo e provando così a uccidere le api. Ogni cubo di ghiaccio può essere spostato in qualunque direzione a meno che non vi sia un cubo vicino posto nella direzione del moto. Il cubo può spostarsi fino a che non in contra il bordo del mondo, un diamante o un altro cubo. Se nel suo percorso incontra un pinguino o un’ape, li schiaccia.
In una situazione del genere la strategia adottata dal giocatore medio è quella di raccogliere il più velocemente possibile i diamanti evitando quanto più cubi e api.
A questo punto si possono trattare ciascuno degli elementi del Pengi come una sorta di automi, definendo il comportamento di ciascuno in funzione del loro grado di soddisfazione. I più semplici sono i diamanti, che sono soddisfatti in qualunque condizione, anche all’interno della collezione del pinguino; all’opposto il comportamento dei cubi di ghiaccio non è dovuto ad alcuna forma di soddisfazione, ma è una semplice reazione agli stimoli esterni (spostarsi nella direzione e verso opposti alla spinta ricevuta e schiacciare chiunque si trovi sulla sua strada)(1).
Le api, invece, sono soddisfatte quando possono muoversi liberamente all’interno dl proprio spazio vitale: definendo un’area entro la quale le api si sentono al sicuro, questo implica che l’ape che rileva un pinguino o un cubo di ghiaccio all’interno di tale area lo attaccherà. Inoltre i movimenti delle api sono tendenzialmente casuali(1).
Il pinguino, infine, è soddisfatto quando riesce a raggiungere e ingurgitare i diamanti. Questi, inoltre, presenta due strategie difensive: spostarsi lungo una traiettoria perpendicolare quando viene attaccato da un cubo di ghiaccio e allontanarsi il più possibile quando si ritrova all’interno dell’area di sicurezza di un’ape. La sua unica strategia aggressiva è spostare un cubo(1).
Una volta definiti in questo modo i comportamenti degli attori, si possono lanciare un certo numero di partite e osservare il comportamento del pinguino, che non è stato programmato con nessuna tattica particolare a parte la strategia a breve termine su esposta. L’aspoetto interessante è che il pinguino sembra mostrare una tattica che potrebbe essere scambiata per quella decisa aprioristicamente da un qualche video-giocatore(1).
Un approccio simile può essere utilizzato per sviluppare un software in grado di giocare a un livello decente (ad esempio quello di chi impara gli scacchi in gioventù e che non trova il tempo di allenarsi più di una volta a settimana). In questo caso ciascuno dei pezzi viene trattato come un automa con il proprio comportamento specifico, in cui vengono descritte le mosse consentite e la forza del pezzo. I risultati di circa 200 partite contro un avversario umano medio sono stati di 57 vittorie, 83 sconfitte e 60 patte. Se, invece, si alza la posta facendo confrontare il software con GNU Chess, MARCH pareggia 3 partite su 50 perdendo il resto. In questo modo l’esperimento ha dimostrato che:
  • un sistema con molti agenti è in grado di giocare a scacchi come un giocatore umano medio (quindi, per dirla con il titolo dell’articolo, le formiche sono in grado di giocare a scacchi!);
  • emergono alcune strategie durante il gioco, ma non durano per tutto il gioco;
  • quando MARCH affronta un avversario con una strategia forte, come GNU Chess, non è in grado di costruire una reazione adeguata;
  • la maggior parte delle vittore di MARCH avvengono nelle fasi finali delle sue partite, mentre la maggior parte delle sconfitte sono originate nella fase di apertura; questo dimostra l’importanza dell’apertura nel gioco degli scacchi e, soprattutto, mostra quanto sia complesso riuscire a realizzare una buona apertura e quanto sia difficile recuperare da una pessima apertura(1).
I risultato ottenuti dal gioco degli scacchi, però, non inficiano il fatto che, in alcune situazioni, un comportamento tattico basato sulle reazioni del momento possa essere altrettanto efficace (se non più) di una strategia globale pre-ordinata.
E gli elefanti?
Già! Cosa c’entrano gli elefanti in tutto ciò? Lo sappiamo benissimo che gli elefanti non sanno giocare a scacchi!
In realtà il fatto che questi giganteschi mammiferi non sono in grado di giocare a scacchi non implica che, se messi in condizione, non sarebbero in grado di farlo!
Per riprendere quanto scritto da Rodney Brooks in un interessante articolo sulla costruzione dei robot(2):
(...) non è giusto affermare che un elefante non ha intelligenza che vale la pena studiare solo perché non gioca a scacchi.
Che effettivamente è una lezione vera e propria al genere umano sulla nostra presunta superiorità intellettiva nel mondo animale.
  1. Drogoul, A. (1993, August). When ants play chess (or can strategies emerge from tactical behaviours?). In European Workshop on Modelling Autonomous Agents in a Multi-Agent World (pp. 11-27). Springer, Berlin, Heidelberg. doi:10.1007/BFb0027053 (pdf)
  2. Brooks, R. A. (1990). Elephants don’t play chess. Robotics and autonomous systems, 6(1-2), 3-15. doi:10.1016/S0921-8890(05)80025-9 (pdf)

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