In effetti, dal punto di vista della mitologia, la storia degli automi risale a partire dall'antica Grecia con gli assistenti meccanici di Efesto o con Talos, gigantesco uomo di bronzo guardiano di Crera e antesignano dei mecha, proprio come il colosso di Rodi. A quanto pare l'isola aveva una forte tradizione meccanica, come riporta in questi versi il poeta Pindaro:
Le figure animateTutto ciò nulla toglie al tono leggendario dei versi, che potrebbero tranquillamente riferirsi a delle statue talmente belle e dettagliate da sembrare animate, soprattutto considerando che il meccanismo più complesso finora ritrovato dall'antica Grecia è il noto meccanismo di Antikythera (o Anticitera).
adornano ogni strada pubblica
e sembrano respirare nella pietra,
o muovere il loro piedi di marmo.
Facendo un salto al periodo medioevale, sono molti i documenti con progetti di automi dalle fattezze più svariate, dagli animali come i serpenti agli esseri umani. In questo mi sembra interessante citare gli automi di Al-Jazari che servivano per aiutare nel lavaggio delle mani: un automa dalle fattezze femminili, tirando un'apposita levetta, riempiva una bacinella d'acqua, utilizzando un meccanismo molto simile a quello impiegato nei bagni moderni. Una versione più sofisticata prevedeva invece l'uso di piccoli automi umani che porgevano salviettine e sapone all'utente.
Quello che possiamo considerare il boom dell'automazione arriva, però, con il rinascimento, quando gli automi vengono impiegati per gli spettacoli o per stupire le persone comuni. Si possono allora citare i diavoli meccanici di Giovanni Fontana o i progetti non realizzati di Leonardo Da Vinci o il monaco a orologeria probabilmente costruito da Gianello Torriani.
Famosi, poi, gli automi di Athanasius Kircher, in grado persino di parlare, e quelli scrivani di Pierre Jaquet-Droz e di Henri Maillardet, che fu allievo del primo.
In particolare Jaquet-Droz, esperto orologiaio (attività per la quale era molto apprezzato in giro per l'Europa) realizzò un trio di automi particolarmente avanzati: lo scrivano, il disegnatore e la musicista. Lo scrivano, finito nel 1772, è, dal punto di vista meccanico, il più complicato dei tre: composto da 6000 pezzi, è seduto su uno sgabello in stile Luigi XV e ha in mano una piuma d'oca, che, una volta avviato, immerge nel calamaio pieno di inchiostro. Quindi lo scrivano inizia a vergare la pagina con un testo che può essere lungo al massimo quaranta lettere. Durante la scrittura, gli occhi e la testa si muovono seguendo il movimento della mano. Il testo viene codificato utilizzando i meccanismi che si trovano sul retro.
Il disegnatore, costituito da appena 2000 pezzi, è in grado di realizzare quattro disegni distinti: il ritratto di Luigi XV; il ritratto di un cagnolino con la scritta il mio cagnolino; una scena con cupido protagonista; il ritratto della coppia reale costituita da Maria Antonietta e Luigi XVI. Inoltre possiede una piccola cannula nella bocca attraverso la quale l'automa soffia per ripulire il foglio dalla polvere e successivamente è stato aggiunto un meccanismo che permette alla mano di sollevare il foglio per osservare meglio il disegno realizzato dall'automa. Probabilmente era anche programmabile, visto che nel tour britannico realizzò il ritratto del re d'Inghilterra.
Infine la musicista, costituita da 2500 pezzi, suona un piccolo organo muovendo le mani sui tasti. Poteva eseguire cinque distinte melodie, probabilmente composte dallo stesso Jaquet-Droz. Per quanto non complessa come lo scrivano, la musicista era sufficientemente complessa da muovere occhi e testa e i movimenti della respirazione, oltre alla riverenza finale.
Infine l'automa di Maillardet, che unisce in un unico meccanismo lo scrivano e il disegnatore di Jaquet-Droz, è in grado di produrre poesie e disegni piuttosto elaborati, cui appone la sua stessa firma. Ed è proprio a quest'ultimo che si ispira l'automa protagonista de La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick, romanzo illustrato che omaggia il genio, anche questo meccanico oltre che cinematografico, di Georges Méliès.
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