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I racconti più evocativi sono indubbiamente quello iniziale, che da il titolo alla raccolta, e quello finale, Taro delle nevi, anche grazie all'ambientazione invernale e innevata. Sono anche ricchi di soluzioni grafiche interessanti che riescono a dare da una parte poesia (la parte colorata è acquarellata) e dall'altro orrore, grazie a inchiostrazioni particolarmente ricche di neri. Per contro I morti tra la nebbia colpiscono per l'essenzialità dell'ambientazione, praticamente assente: sia i "fantasmi" sia il protagonista si muovono per lo più in vignette completamente bianche, consegnando al lettore un ambiente asettico e straniante, proprio come una nebbia fitta.
Ho avuto modo anche di confrontare le versioni di Hino con il lavoro di Benjamin Lacombe, di cui ho visitato la mostra quando è passata da Milano diversi mesi fa, apprezzando quindi anche il lavoro di reinterpretazione del maestro giapponese di queste leggende. Da una parte il tratto più cartoonesco di Hino risulta in alcuni casi più efficace nel raccontare l'orrore rispetto all'eleganza di Lacombe, ma anche la scelta nelle versioni, laddove se ne presentavano differenti, è indicativa di una maggiore attenzione del mangaka verso valori come l'onore e il rispetto.
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Lo spettro di Rashomon, infine, si conclude con un bel saggio di Maurizio Ercole, che ha curato i due volumi, sui "mostri" giapponesi.
Consigliato quindi il recupero e la lettura di questi due volumi, in questo periodo particolare dell'anno, ma non solo!
P.S.: un altro interessante collegamento tra i due volumi è la copertina de Lo spettro di Rashomon che fa riferimento agli shokujinki, una specie di demoni o fantasmi mangiatori di cadaveri, che pur se presenti nel racconto d'apertura del secondo volume, hanno un racconto a loro dedicato nel primo.
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