Stomachion

sabato 15 febbraio 2020

Di chiavi e lucchetti

Nella seconda metà del 1700 Pierce Locke costruisce, a partire da un misterioso metallo sussurrante, una serie di chiavi magiche che permettono di aprire porte inimmaginabili.
C'è, ad esempio, la chiave di ognidove, che porta in qualunque luogo si desideri; la chiave apritesta, che permette di inserire dentro la propria testa qualunque cosa, dai libri, utili per imparare a memoria nozioni varie, a oggetti fisici da utilizzare in seguito; la chiave cambiasesso, che permette di trasformare un uomo in una donna e viceversa (e anche il processo di ritorno al proprio sesso d'origine); la chiave dell'eco, che permette di materializzare il proprio eco; la chiave fantasma, che permette di diventare degli ectoplasmi, sperimentando una morte fittizia; la misteriosa chiave omega. A questo gruppo di sei chiavi conosciute, se ne aggiungono altre, per ora non classificate, sparse nei vari, inesplorati recessi di Keyhouse, la magione dei Locke in quel di Lovecraft, Massachussetts.
E' importante ricordare che tutte le chiavi, a parte quella di ognidove e quella apritesta, per funzionare devono aprire le serrature corrispondenti.
Questi sono gli elementi di base di uno dei fumetti gotici più interessanti e di successo degli ultimi anni, Locke & Key. Scritto da Joe Hill, romanziere di genere nonché figlio di Stephen King, e disegnato dal talentuoso Gabriel Rodriguez, è stato pubblicato interamente in Italia in sei volumi dalla Magic Press, incluso il volume che raccogli alcune uscite speciali della serie. Visto il rilascio su Netflix della prima stagione del serial televisivo (che ho iniziato a guardare insieme con mia sorella), recupero la recensione che avevo scritto ormai tempo addietro dei primi due volumi, Benvenuti a Lovecraft e Giochi mentali e che avevo lasciato decisamente sotto la naftalina.
Una voce dal pozzo
Il primo volume è squisitamente lansdaliano, non troppo dissimile nella trama da Il lato oscuro dell'anima: un giovane scapestrato, Sam Lesser, insieme con un amico, Al Grubb, attacca la famiglia Locke per ottenere dal capofamiglia, Rendell, alcune preziose informazioni proprio sulle chiavi forgiate da Pierce Locke. Non sarà chiaro, leggendo i due volumi, se l'informazione, Rendell, l'ha dimenticata, come potrebbe essere accaduto visto che la maggior parte degli adulti non riescono a riconoscere la magia nemmeno quando la vedono, o se non ha voluto rivelarla. Ad ogni modo l'attacco di Sam e Al ai Locke lascia una pesante eredità su Tyler, che si sente per buona parte di questo primo volume responsabile di quanto accaduto alla sua famiglia, e non solo per non essere riuscito a proteggerli dalla violenza di quei due sbandati.
D'altra parte la sorella Kinsey vede le sue insicurezze e il suo senso di impotenza, tipicamente adolescenziali, acuirsi sempre di più, generando per contro la voglia di scomparire, di diventare invisibile, di non attirare troppo l'attenzione nella nuova scuola, a Lovecraft, dove si sono trasferiti dopo la tragedia.
L'unico che sembra riuscire a superare quasi indenne gli eventi luttuosi, grazie alla sua visione innocente (e superficiale, per certi versi) della vita è il piccolo Bode, che scopre la chiave fantasma e una strana donna chiusa in fondo al pozzo di Keyhouse, quella stessa donna che ha istigato Sam Lesser ad attaccare la famiglia Locke per recuperare la chiave di ognidove, l'unica che le permetterebbe di fuggire dal pozzo.
Magistrale la capacità di Hill nella costruzione dei personaggi, oltre che nell'applicazione delle moderne tecniche narrative, diventate sempre più utilizzate da Lost in poi: l'incastro tra il presente e il passato, sia quello traumatico della famiglia Locke, sia quello del giovane Rendell, trasporta lentamente il lettore verso la rivelazione centrale del volume, la vera identità della donna nel pozzo, lasciando nel lettore un senso di inquietudine, ma anche di attesa per il volume successivo. Caratteristica, questa, comune a tutti i volumi della serie.
La ricerca delle chiavi
Con il secondo volume, Hill inizia a costruire l'impianto fantasy, se così si può dire, di Locke&Key. La cerca tipica di questo genere letterario, infatti, in questo caso è la ricerca delle chiavi da parte della donna del pozzo, che a tale scopo assume una nuova identità. Questa ricerca si intreccia anche con il ruolo avuto nella gioventù di Rendell Locke, ed è dunque in qualche modo ironico come costei si serva del piccolo Bode figlio di Rendell per portarla a termine.
E' molto interessante e quasi gaggistica la ricerca di Bode della serratura nella quale la chiave apritesta dovrebbe entrare, fino a che il piccolo non vede alla base del collo dello zio Duncan proprio una serratura, riuscendo così a comprendere l'utilizzo della chiave stessa.
Giochi mentali diventa, quindi, un gioco di costruzione sottile e interessante, in cui il cattivo cambia il suo modus operandi proprio in funzione della chiave appena ritrovata dal piccolo, e della cui esistenza viene messo a conoscenza da Tyler, per condividerne l'utilizzo scolastico.
E' interessante notare come il cattivo si muova con cura e attenzione per proteggere la sua identità e le sue azioni: chi ha avuto la sventura di comprendere la sua vra identità, muore, oppure subisce una sorta di lavaggio del cervello grazie alla chiave apritesta. Inoltre proprio questa chiave permette a Hill di affrontare alcuni argomenti delicati, come ad esempio stigmatizzare la ricerca della strada più breve attraverso l'uso scolastico della chiave citato poco sopra, o l'intolleranza nei confronti degli omosessuali, rappresentata dalle circostanze della morte di Brian, il compagno del fratello di Rendell.
Altrettanto interessante è l'approfondimento dei mondi interiori dei fratelli Locke: la testa di Bode è un mondo colorato, dove solo i ricordi legati alla morte del padre sono rappresentati in maniera bidimensionale; Tyler, invece, nasconde un mondo oscuro segnato dalla colpa per la morte del padre; Kinsey, invece, è dominata dalla mostruosa personificazione di paura e pianto. E' quest'ultima che diventa il veicolo per un nuovo, interessante, messaggio di Hill: non bisogna giocare troppo con la testa, reprimendo o cancellando parti di se stessi: questo potrebbe portare a modifiche radicali e non piacevoli del proprio carattere e della propria vita.
Il punto d'arrivo del volume è, però, Esercito di un solo uomo, l'epilogo della seconda serie. In questo caso il tema portante di Locke&Key, il rapporto genitori/figli, viene esaminato dal punto di vista di Ellie Whedon, madre del ritardato Rufus, l'unico che sembra immune alle macchinazioni mentali del nemico dei Locke. Ellie ha un rapporto complicato, quasi conflittuale con la madre, tanto da spingere la figlia a desiderarne la morte. E il volume si chiude proprio con l'avverarsi di questo desiderio, quasi una chiusura perfetta del cerchio con l'inizio di Locke&Key, che da Tyler, che si incolpa della morte del padre, ci porta fino a Ellie, che ha visto realizzarsi il suo oscuro desiderio.
Giochi di stile
Gli altri quattro volumi, che raccolgono altrettante serie di Lock & Key, pubblicato originariamente dalla IDW, sviluppano, sempre con la stessa maestria nella gestione dei personaggi e nell'incastro di presente e flashback, una storia appassionante, divertente e con personaggi vivi e verosimili. In questo senso Gabriel Rodriguez compie un lavoro perfetto: il suo stile rotondo e preciso e l'inchiostrazione marcata lo rendono la scelta migliore sia per le parti realistiche del racconto, sia per quelle fantastiche. Inoltre da anche prova, in particolare nei volumi successivi, di una grande capacità di gestire stili narrativi differenti, grazie alla costruzione ordinata della pagina. In particolare segnalerei il primo episodio de Le chiavi del regno, che non è solo fondamentale per il finale complessivo della storia di Hill, ma è anche un omaggio più che esplicito a una striscia deliziosa come Calivin&Hobbes. Non è l'unico omaggio ad altri personaggi o generi fumettistici, ma ogni volta che l'occasione si presenta, Rodriguez si fa trovare pronto per affrontare nel modo migliore possibile la sfida postagli dal suo barbuto compagno di viaggio.
Un fumetto che vale la pena recuperare, non solo per confrontarlo con il prodotto televisivo, ma soprattutto perché è una gran bella storia.

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