Nell'ultima uscita della mia newsletter, Stomachion, ho segnalato le due puntate di CosmoBrain in cui Ilaria Ferrari e Laura Paganini hanno chiacchierato con Giorgio Chinnici sugli scacchi.
Questi sono un gioco antico e dalle origini leggendarie, nel senso che si perdono così lontano nel tempo che abbiamo in mano solo una leggenda (in effetti non è esattamente così, ma lasciatemelo scrivere!).
Di fatto le sue origini risalgono al VII secolo, in India, in un vecchio gioco da tavolo, ed ha una evidente ispirazione bellica. Una delle ere più note e fondamentali per gli scacchi è quella così detta romantica, tra il 1700 e il 1873.
Dal 1873 in poi, gli scacchi ricevono un approccio in qualche modo scientifico e si trasforma in un vero e proprio sport. Il primo campione mondiale di scacchi è, infatti, Wilhelm Steinitz nel 1886 (anche se di campionati non ufficiali se ne realizzarono già a partire dal 1851).
Gli scacchi, come molte attività propriamente sportive (nel senso di competitive) hanno avuto una forte polarizzazione in particolare durante il periodo della Guerra Fredda, tra i due grandi blocchi sovietico e statunitense. In questo caso, essendo i russi i grandi dominatori degli scacchi, la competizione era particolarmente sentita negli Stati Uniti ed è proprio questa atmosfera che prova a catturare La regina degli scacchi, miniserie ideata da Scott Frank e Allan Scott per Netflix.
Il titolo originale, Queen's gambit, fa riferimento a una delle aperture del gioco, il gambetto di donna, mentre quello italiano ha un poù forte riferimento su Beth Harmon, interpretata da Anya Taylor-Joy, giovane e talentuosa scacchista statunitense che prova la scalata ai ranghi scacchistici mondiali.
La storia racconta delle ossessioni della ragazza calate all'interno dell'atmosfera politica degli anni Cinquanta del XX secolo. Elementi interessanti di ogni episodio sono i titoli, che si riferiscono a termini scacchistici, le sigle, che hanno una forte componente geometrica e matematica, proprio come gli scacchi, e poi la visualizzazione delle partite da parte di Beth. Il riferimento, in questo caso, sembra essere la Novella degli scacchi di Stefan Zweig in cui il protagonista arriva al limite della follia giocando contro se stesso. E in un certo senso anche Beth vive una vita al limite, in cui l'unica cosa che la tiene lontana dall'impazzire sono l'alcool, di cui abusa abitualmente, e gli scacchi.
La serie, nel complesso, risulta bella e interessante per molti motivi. Da una parte abbiamo una posizione radicale, con la storia di una scacchista che si fa strada in un mondo fortemente maschile, dall'altra, però, è anche un atto d'amore nei confronti degli scacchi, come ben raccontato nella scena che chiude la serie. E questa, alla fine, è l'unica cosa che conta sul serio!
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