Il romanzo, dopo una prima parte ambientata nella base dove viene studiata questa seconda generazione di hungrie, si sviluppa poi all'esterno, in un mondo ormai desolato e silenzioso, letale per qualunque essere umano. Pur se ben scritto e con una variazione interessante sul tema degli zombie, ritenuta dai più originale, ma secondo me solo perché poco sfruttata (ricorda molto l'idea alla base di Io sono leggenda), presenta dei personaggi sostanzialmente scontati le cui azioni non spiazzano più di tanto il lettore. La narrazione è, d'altra parte, concentrata soprattutto sulla costruzione delle atmosfere di tensione e non manca di appassionare, lasciandosi leggere facilmente nonostante le 370 pagine circa. In tutto questo è forse il finale la parte meno scontata: il romanzo si chiude con un abbastanza evidente velo di pessimismo, perché nonostante si possa affermare che alla fine la vita riesca a trovare un modo per proseguire, la sensazione che tale situazione sia semplicemente precaria e destinata a concludersi abbastanza in fretta continua a essere abbastanza forte. La fine dell'umanità è semplicemente procrastinata. E forse non solo nella finzione del romanzo di Carey.
Il film
Su Netflix è anche disponibile per la visione il film tratto dal romanzo. Il confronto tra il film e l'opera di carta dovrebbe, in questo caso, anche fornire qualche indizio su come si procede nella realizzazione di una sceneggiatura per un film. Infatti è lo stesso Carey a scenegiare La ragazza che sapeva troppo e le differenze tra i due prodotti sono evidenti e piuttosto importanti. Gli junkers, ad esempio, ovvero quegli umani che hanno deciso di vivere nelle campagne lontano dalle basi militari, non vengono nemmeno mai citati. La stessa morte della dottoressa Caldwell, ottimamente interpretata da Glenn Close, è differente rispetto a quella che lo stesso Carey assegna al personaggio nel finale del romanzo. Inoltre la scoperta del più che probabile destino dell'umanità avviene non per una supposizione ipotetica, ma dopo una attenta autopsia di un hungrie di seconda generazione.Evidentemente Carey ha dovuto compiere non poche acrobazie per adattare la sua prima stesura della sceneggiatura, scritta in contemporanea con il romanzo, con quella che effettivamente si poteva trasportare su schermo: alla fine i tagli e le modifiche riescono comunque a non tradire eccessivamente il romanzo, producendo un prodotto abbastanza fedele, forse un po' meno attento ad alcuni dettagli, in particolare quelli scientifici, rispetto al libro. Altro elemento di differenza è la lentezza stessa della pellicola: leggendo La ragazza che sapeva troppo non si ha la sensazione di essere di fronte a un testo particolarmente lento, mentre il ritmo del film di Colm McCarthy si concentra soprattutto sulla tensione piuttosto che sull'azione. Basti pensare alla scena che precede l'assedio dei protagonisti a Londra, che nel romanzo è un vero e proprio inseguimento, mentre nel film diventa più che altro un muoversi con calma tra gli hungrie sparando contro quei pochi che iniziano a muoversi. Nonostante ciò, alla fine l'unica differenza che mi ha veramente disturbato sono stati gli alberi fungiformi, che nel romanzo sono descritti molto più trasparenti rispetto a quelli che vengono rappresentati nel film.
Ad ogni modo le perplessità lasciate dal finale del romanzo vengono riportate pari pari anche nella pellicola, tuttosommato ben fatta e ben recitata.
Post scriptum
Per i più curiosi, vorrei ricordare che La ragazza che sapeva troppo è anche il titolo di un film del 1963 di Mario Bava di genere giallo psicologico il cui titolo, imposto dai distributori, si rifà al famoso L'uomo che sapeva troppo di Alfred Hitchcock
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