Il problema sarebbe poi ritornato negli anni successivi, arrivando anche su The Illustrated London News. Carroll, infatti, spedì alla rivista una lettera datata 23 febbraio 1857 e pubblicata il 18 aprile dello stesso anno in cui si interrogava come segue (il testo, tratto dal libro precedentemente citato, è nella traduzione di Emanuela Turchetti):
Considerando che al momento questa questione si sta discutendo sulle vostre colonne (questione che mi è venuta in mente anni fa, e alla quale non sono mai riuscito a fornire una soluzione soddisfacente), desidero che i lettori che vi hanno scritto sappiano quale è la vera difficoltà. Stando a quanto sostiene T.J. Buckton, di Lichfield, il giorno comincia sempre in un certo punto del globo, così che se potessimo girarlo tutto in ventiquattro ore, arrivando ovunque a mezzanotte esatta ora locale, troveremmo che in ogni posto sta cambiando il nome del giorno. Ma se alla notte sostituiamo il mezzogiorno, ci troveremo subito in difficoltà: La situazione può essere riassunta in questi termini. Supponete di partire da Londra a mezzoggiorno del martedì e di ciaggiare con il sole, giungendo così nuovamente a Londra a mezzogiorno del mercoledì. Se alla fine di ogni ora chiedete che giorno è agli inglesi residenti sul posto in cui siete giunti, alla fine giungerete in un posto in cui la risposta cambierà in mercoledì. Ma in quel momento sarà ancora martedì (le 13) nel posto che avete lasciato un'ora prima. Troverete così due posti, a un'ora l'uno dall'altro, in cui si usano nomi diversi per lo stesso giorno, e non a mezzanotte, quando sarebbe naturale, ma quando in un posto è mezzogiorno e nell'altro sono le 13. Non ho la pretesa di affermare che questi due luoghi esistano e se, nel caso in cui esistano, possono comunicare tra loro senza ingenerare una confusione totale: sarò lieto però di esaminare qualsiasi soluzione razionale venga avanzata per risolvere la difficoltà da me esposta.Il problema era, in effetti, stato notato dalla prima spedizione di circumnavigazione del globo, quella di Ferdinando Magellano, che da quella spedizione non tornò. In quell'occasione Antonio Pigafetta annotò sul suo diario di viaggio tutti i giorni trascorsi dall'inizio della traversata fino alla sua fine, scoprendo all'arrivo che avevano perso un giorno: erano infatti ritornati in patria il 10 luglio del 1522, ma secondo il diario di bordo sarebbe dovuto essere il 9 luglio.
Per ovviare a questo e altri inconvenienti vennero adottati i fusi orari prima e la linea di cambiamento di data successivamente. Quest'ultima venne posta intorno al 180° meridiano, ed è una linea piuttosto frastagliata che segue la geografia e la politica della zona che attraversa.
La necessità di introdurre i fusi orari arrivò con la diffusione delle ferrovie. Fino all'Ottocento, infatti, l'ora era locale, nel senso che ogni città adottava una scansione oraria legata al mezzogiorno locale. Non c'era una grande necessità di modificare tale consuetudine: gli spostamenti, a piedi o a cavallo o in carrozza, erano sufficientemente lunghi da rendere ininfluente la differenza di ora tra un luogo e l'altro. L'arrivo del treno ridusse i tempi di spostamento in maniera significativa, rendendo quindi necessaria l'introduzione di un orario coordinato tra le varie località.
I primi fusi orari vennero introdotti nel 1858 da Quirico Filopanti, pseudonimo dell'astronomo italiano Giuseppe Barilli, e nel 1879 da Sandford Fleming, ingegnere capo delle ferrovie canadesi.
L'introduzione ufficiale dei fusi orari venne discussa a Washington nell'ottobre del 1884 nel corso della Conferenza internazionale dei meridiani. Alla fine si stabilì la loro introduzione ufficiale a partire dall'1 novembre di quello stesso anno. Come meridiano zero si decise di assumere quello che attraversava Greenwich. Il meridiano dell'Italia, invece, venne stabilito essere quello passante per Termoli-Etna.
Parte del testo è una rielaborazione di quanto scritto nella recensione di Topolino #3449.
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