Vorrei iniziare l'articolo dedicato al Topolino #3579 con L'isola che non c'è, la saga di Giorgio Salati e Giampaolo Soldati. Sto notando che in giro ci sono pareri abbastanza simili, in cui la storia viene considerata lenta e con un numero di puntate, 5, eccessivo. Personalmente la penso all'opposto: la storia è eccessivamente veloce, troppo densa di informazioni e con poco approfondimento sui vari personaggi. Secondo me la saga sarebbe stata, per assurdo, sarebbe stata più efficace con un numero maggiore di episodi e, soprattutto, una narrazione molto più alla Lost, che è la cosa che manca di più.
Nonostante tutto ci sono, però, un paio di elementi interessanti. Iniziamo da quello squisitamente scientifico anticipato nel titolo: l'elettrodinamica quantistica. In termini semplici, la QED è la sintesi tra la meccanica quantistica e la relatività ristretta, cosa che è risultata molto più semplice di quella con la relatività generale (che di fatto ancora non abbiamo, a meno di non pensare come il sottoscritto che la candidata a tale sintesi non sia la gravità a loop). Di fatto il modello descrive le interazioni elettromagnetiche tra le particelle cariche: queste ultime "dialogano" tra loro grazie allo scambio di una "lettera" o di un "postino" particolare, il fotone.
La descrizione matematica del modello venne portata a termine da Sin-Itiro Tomonaga, Julian Schwinger e Richard Feynman. In particolare la descrizione matematica di quest'ultimo risultava piuttosto differente, basata soprattutto sui suoi diagrammi di Feynman. Le due formulazioni vennero dimostrate equivalenti da Freeman Dyson, e alla fine i primi tre ottennero il premio Nobel per la fisica nel 1965.
Il punto è che, e mi spiace scriverlo, l'elettrodinamica quantistica viene inserita nella storia per giustificare in maniera plausibile l'invisibilità dell'isola, ma non solo. Di fatto rendendo la cosa ancora meno plausibile, il tutto con l'aggravante di una spiegazione obiettivamente pesante per il lettore medio.
Il secondo elemento interessante, invece, è quello più efficace, ma anche più nascosto: l'importanza della religione nella nascita della politica. Questo ruolo viene infatti molto ben rappresentato da Caliban, che costruisce una pseudo-religione per provare a controllare gli altri naufraghi, in un gioco che per un qualsiasi anarchico è invece piuttosto esplicito, come confermato tra l'altro nelle pagine finali del 4.o episodio.
L'ultimo episodio in uscita sul #3580 chiuderà la faccenda, e sarò curioso di capire come Salati metterà fine ai molti spunti della storia che, ripeto, secondo me avrebbero meritato un maggiore approfondimento. Forse un po' tutti dovremmo vedere e rivedere serie del passato come Lost per capire come si scrivono saghe a puntate.
La storia d'apertura, invece, Il Grand Mirror Hotel di Bruno Sarda e Marco Palazzi, fa parte della serie I misteri di Paperopoli e riecheggia nel titolo, e in parte nella trama, del bellissimo Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. In un certo senso è anche un peccato che non ne riprende tutti gli elementi della trama, limitandosi solo a quello del quadro scomparso, che nella storia disneyana diventa uno spardito perduto da qualche parte in una delle tante state a tema dell'hotel.
La copertina di Corrado Mastantuono, che dovrebbe riferirsi a questa storia, pur se bella, a me sembra però avere ben poco a che fare con essa.
Infine sul Decino dell'Infinito mi sono dilungato in altri lidi, che vi invito pertanto a recuperare in lettura.
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