Di solito questo avviene con la fisica teorica, che spinge spesso i modelli verso situazioni assolutamente inimmaginabili. I fisici, ad esempio, in vari modi differenti, sono spesso arrivati alla conclusione che il nostro è un universo immerso in un multiverso. Già queste cose suonano piuttosto fantascientifiche. In molti romanzi di fantascienza, poi, gli oggetti esotici che chiamiamo buchi neri, invece di spaghettificare il malcapitato che vi finisce dentro, lo catapulta in un altro universo, magari grazie a un buco bianco che sputa materia invece di assorbirla. In questa visione, però, un buco nero è associato con un buco bianco, eppure nel 1996 ci fu qualcuno che, come conseguenza di alcune premesse quantistiche, immaginò che in due universi distinti all'interno di un metauniverso esistevano due buchi neri associati uno con l'altro. E a quel punto ci si potrebbe chiedere come sia possibile verificare ciò. Semplice: basta essere un osservatore asintotico, ovvero salire, ad esempio, sull'Enterprise e dirigersi verso il bordo più estremo dell'universo nel lontano futuro. La conseguenza di questa visione, però, è che un universo all'interno del metauniverso non può mai essere autonomo e deve sempre avere almeno un confine che lo collega al resto di un metauniverso autonomo.
In parole semplici e fantascientifiche, deve esistere un passaggio iperspaziale verso un altro universo.
Gonzalez-Diaz, P. F. (1996). Quantum black-hole kinks. arXiv:gr-qc/9606036.
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