Stomachion

sabato 30 novembre 2019

I rompicapi di Alice: Puntare contro il cielo

Se una pistola dovessi impugnare,
E contro il Sole dovessi sparare;
Sono certo che infine colpirebbe il bersaglio mirato,
Non prima, però, che molto tempo sia passato.
Ma se quella pallottola mutasse la sua forza,
E verso i pianeti volgesse la sua corsa;
Mai raggiungerebbe la stella più vicina,
Che è pur sempre tanto lontana.
Questa Poesia inutile e istruttiva è uno dei primi componimenti dello scrittore meglio noto come Lewis Carroll. Già a 13 anni, questa l'età a quell'epoca dell'autore di Alice nel paese delle meravigle, si può notare il suo interesse verso immagini non propriamente usuali.
Dal nostro punto di vista, i versi di Carroll ci portano verso il problema dell'abbandono della superficie terrestre, cosa che forse nella mente del bimbo era qualcosa di affascinante quanto può esserlo un viaggio su una ipotetica base lunare per un ragazzino di oggi.
Questo problema era stato posto con un'immagine analoga proprio dallo scopritore della legge di gravità, Isaac Newton. Infatti su A Treatise of the System of the World si trova il disegno di un cannone che spara un proiettile dalla cima di una montagna. Quello che succede è che, in funzione dell'inclinazione e della velocità, il proiettile può ricadere al suolo, ritrovarsi in moto circolare uniforme a meno dell'eventuale attrito atmosferico, oppure fuggire e perdersi nello spazio.
In prima battuta per raggiungere il Sole basta avere una velocità perpendicolare alla superficie pari o superiore alla velocità di fuga, ovvero quella velocità necessaria per vincere l'attrazione gravitazionale terrestre. Il modo più semplice per determinare tale valore è applicando la conservazione dell'energia meccanica.
Trascurando gli attriti e ignorando la presenza di altri corpi celesti, l'energia meccanica sulla superficie della Terra deve essere uguale a quella all'infinito, che risulta nulla. Questo valore è giustificato dal fatto che l'energia potenziale gravitazionale all'infinito si annulla in forza della sua dipendenza dall'inverso della distanza, mentre quella cinetica è nulla perché ci poniamo nel caso di velocità minima, ovvero l'energia cinetica è "consumata" interamente dal campo gravitazionale.
In questo modo l'equazione per trovare la velocità di fuga è \[\frac{1}{2} m v_f^2 - G \frac{M \cdot m}{r}\] dove $G$ è la costante di gravitazione universale, $M$ la massa della Terra, $m$ la massa del proiettile, $r$ la distanza dal centro di gravità. Facendo qualche calcolo si ottiene \[v_f = \sqrt{2 G \frac{M}{r}} = 11200 \, m/s = 40320 \, km/h\] Supponendo che tale velocità non si riduca eccessivamente durante l'attraversamento dell'atmosfera, per giungere nello spazio impiegheremmo all'incirca un quarto d'ora, mentre per raggiungere il Sole (trascurando sia la riduzione di velocità, sia l'interazione gravitazionale con il Sole), qualcosa come poco meno di 155 giorni.
Ovviamente nella realtà la situazione è più complicata. Infatti, una volta superato il primo ostacolo, ci si trova a dover interagire con altri corpi celesti che potrebbero modificare la traiettoria del proiettile. E in un certo senso sembra proprio quello che aveva in testa il giovane Carroll quando scrive la seconda stanza della sua poesiola: l'immagine, abbastanza raffinata, che quei versi restituiscono al lettore è allora quella di un proiettile che, zigzagando nello spazio ora deviato da un pianeta ora da un altro, non riesce neanche a superare i confini del sistema solare.
D'altra parte le conoscenze astronomiche di Carroll non dovevano neanche essere così superficiali, se aveva ben chiaro che la stella più vicina, è pur sempre tanto lontana.

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