Il franchise di Neon Genesis Evangelion ha attraversato il mondo dell'animazione per qualcosa come 26 anni. La serie televisiva originaria, infatti, esordì nell'ottobre del 1995, mentre l'ultimo film è arrivato proprio in questo 2021, dopo un'attesa di 9 anni dall'ultimo. Ciò che ho trovato per certi versi incomprensibile leggendo un paio di recensioni di Thrice Upon a Time (ad esempio Alessandro Apreda o Simone Rastelli) è la ricerca ossessiva di un finale diverso, in un certo senso compiuto, della serie televisiva originale. La ricerca di una conclusione che plachi gli animi degli appassionati della serie. E non so, forse faccio parte di quella parte di spettatori non piace pensare, per riprendere le parole di Zac Bertschy, o più semplicemente ho fruito la serie in maniera differente rispetto agli appassionati della prima ora: ho letto prima il manga tratto dalla serie animata.
Evangelion è innanzitutto una serie animata, ideata da Hideaki Anno e ambientata in un futuro tecnologicamente avanzato, ma molto vicino al nostro (2014-2015), in cui il genere umano deve affrontare l'attacco di una serie i mostri, chiamati Angeli, che attaccano in particolare il Giappone. Qui ha sede l'organizzazione che sta costruiendo gli Eva, dei robottoni con la potenza e le armi necessarie per contrastare gli Angeli. Già con gli Eva si intuisce che la serie fornisce al genere mecha una spinta in più: i robottoni ideati da Anno sono diversi nell'aspetto e per certi versi più plausibili. Le loro fattezze sono molto più snelle, umane si direbbe, rispetto ai mecha cui siamo normalmente abituati, mentre la loro fornitura di energia è legata a un cavo attaccato ai generatori della base della Nerv, l'istituto che li ha sviluppati e progettati. Se questo cavo si dovesse staccare, gli Eva hanno solo pochi minuti di autonomia.
Altro elemento distintivo è, però, evidente sin dal primo episodio: il robottone sviluppato da Gendo Ikari, il capo della Nerv, entra nella modalità berseker e combatte per puro istinto, senza alcun controllo da parte del pilota. E questo perché, come i mecha classici, anche qui abbiamo un pilota. Il problema è che questo pilota è un adolescente, Shinji Ikari, il figlio di Gendo, cresciuto, però, dagli zii materni (se la memoria non mi inganna: al momento non mi va di controllare sul manga, dove l'informazione è presente a differenza dell'anime).
Sin da subito, quindi, si delineano i temi principali di Evangelion: il rapporto padre-figlio, complicato dall'assenza del primo e, soprattutto, dalla morte della madre; le responsabilità che vengono di forza messe sulle spalle di Shinji, con gli adulti che non sambrano in nessun modo in grado di capirne le perplessità e i timori, né avere alcuna voglia di mettere in discussione il perché un'arma di distruzione totale come l'Eva debba essere messo in mano a un adolescente, con tutti i problemi della crescita che questo si porta dietro; quindi i drammi della crescita e del rapporto con il mondo, che sono evidenti anche negli altri piloti che entreranno dentro gli Eva, come Rei Ayanami e Asuka Langley Soryu. A complicare la faccenda c'è anche l'attrazione più o meno manifesta di Shinji nei confronti delle due ragazze, e che si comprenderà in seguito essere di natura differente. D'altra parte Anno ha esplicitamente detto che il suo intento era realizzare una storia basata su un gigantesco complesso di Edipo e, in quest'ottica, il misticismo di cui si permea Neon Genesis Evangelion diventa esplicitamente quello che è sempre sembrato essere a uno spettatore un po' più esperto: un'insalata di concetti buttati lì un po' a caso per creare un'atmosfera di complotto.
Partendo da questo punto, risulta abbastanza evidente come Anno, nel corso dello sviluppo della serie, abbia abbastanza facilmente abbandonato una serie di elementi della storia, che alla fine non ha chiuso con il finale di stagione. Gli ultimi due episodi, infatti, risultano psicologici, intimisti e decisamente molto psichedelici, anche più del finale psichedelico di 2001: Odissea nello spazio. A quel punto la necessità di dover chiarire sia alcuni punti della trama, sia il finale stesso, spinge Anno a realizzare due nuovi prodotti: l'abbastanza inutile Death & Rebirth, un collage di scene degli ultimi due episodi con scene del successivo The End of Evangelion.
Con questo Anno sembra voler chiudere la faccenda, inserendo in sottotraccia una lettura del doppio finale di Evangelion molto shroedingiana. Gli episodi della serie originale, infatti, sono 26 e The End of Evangelion si suddivide in due parti, la prima indicata come 25' e la seconda come 26', come se questi fossero finali alternativi, frutto di una scelta differente da parte di Shinji. Il protagonista della serie, infatti, nel finale di stagione viene posto di fronte a una scelta: portare il genere umano verso un unico, gigantesco orgamismo in cui le individualità di ciascuno si diluiscono, oppure scegliere di mantenere l'individualità di ciascuno. Il finale originario suggerisce che, secondo Anno, un adolescente complessato che non ha, giustamente, alcuna voglia di prendersi delle responsabilità di cui dovrebbero farsi carico gli adulti, deciderà di far scomparire la sua individualità, e con essa anche quella di tutti gli esseri umani, solo per non dover soffrire e non dover affrontare una vita che non gli si addice: è la fuga massima, quella senza alcuna possibilità di ritorno.
Questo finale, però, aveva lasciato aperti alcuni punti della trama, per cui c'era in ogni caso la necessità di tornare sulla storia, e così Anno di fatto riscrive il tutto proponendo una scelta diversa per Shinji, che però lascia comunque insoddisfatti, perché con tutto il potere a disposizione il ragazzo, semplicemente, decide di tornare alla sua inconcludente vita precedente. E' abbastanza evidente che la preferenza di Anno vada al finale originale, dove tutti i personaggi applaudono Shinji per la sua scelta, ma alla fine, soprattutto per chi come me ha letto il manga prima della serie, sono entrambi insoddisfacenti.
Il manga raccolto in 14 tankobon, venne originariamente pubblicato tra il dicembre del 1994 (quindi pochi mesi prima dell'esordio della serie) e il giugno del 2013, realizzato da Yoshiyuki Sadamoto, autore che fa parte del team creativo dietro Evangelion. Può sembrare una banalità quella che sto per scrivere, ma ho apprezzato il manga molto più della serie televisiva. Sicuramente la capacità, come lettore, di scegliere il tempo di lettura è un plus non indifferente (molto spesso ho detto dentro me stesso, di fronte allo schermo del computer, qualcosa del tipo ma cambia inquadratura!), ma anche la capacità del manga di scendere più in profondità nei personaggi o di sviluppare in maniera più chiara (anche se non necessariamente più lineare) i passaggi della trama ha giocato un ruolo fondamentale in questa preferenza. Il manga di Sadamoto, peraltro più drammatico rispetto alla serie televisiva (altro punto a favore), riesce molto più dell'opera di Anno a enfatizzare il dilemma di Shinji, quel suo essere un bambino-soldato in una società che evidentemente non ne avrebbe alcuna necessità, se non per i deliri di onnipotenza degli adulti. Ed è probabilmente questa la lettura chiave che ha portato Sadamoto a un finale completamente differente rispetto sia a quello originale sia a quello alternativo. Per Sadamoto, infatti, non solo Shinji decide di mantenere l'individualità di ciascun essere umano, ma riscrive completamente il mondo, lasciando solo alcuni incomprensibili segni della battaglia che ha vissuto, e di cui nessun essere umano, nemmeno lui, è consapevole, se non nel profondo. Una scelta che un po' mi ricorda quella fatta dal protagonista de I polimorfi di Alfred Elton Van Vogt, e forse anche per questo la amo più di tutte le masturbazioni mentali di Anno. Anche perché per me, il cuore della storia, non era tanto il complesso di Edipo vagheggiato dal creatore di Evangelion, ma proprio la necessità di Shinji di crescere facendo le sue scelte e non quelle che gli venivano imposte dagli adulti.
Hai scritto delle gran falsità e ancor più banalità. The End of Evangelion non è un finale alternativo. Informati per favore.
RispondiEliminaIl finale della serie originale creò non poche controversie, così decisero di realizzare un nuovo finale con due nuovi episodi conclusivi che vennero messi insieme in The End of Evangelion come pellicola unica. A quel punto è mio diritto come fruitore del prodotto pensare che sia un finale alternativo più che una riscrittura del finale (non a caso ho scritto un bel "come se"), così come è mio diritto pensare che i due finali coesistano contemporaneamente. O forse dovrei dire i tre finali, vista la nuova versione cinematografica. O i quattro contando anche il manga.
EliminaCiao! La mia interpretazione del finale della serie é completamente disgiunta dalla tua. Non si tratterebbe né di una riscrittura né di un finale alternativo, bensì di un cambio d'obiettivo: laddove infatti inizialmente vediamo l'inconscio di shinji mentre immerso nel mare di LCL, vediamo poi nel film gli eventi che accadono all'esterno. Tra l'altro proprio non capisco da dove nasca l'interpretazione che shinji originariamente scelga l'opzione della fine di ogni individualità, quando shinji esclama chiaramente "A me è concesso esistere!" Ed in generale ogni scena verte verso l'accettazione della complessità della vita e del non piacere necessariamente al prossimo. Concludo dicendo che l'autore evidentemente preferisce l'opzione del mantenimento dell'individualità umana, essendo la prima la soddisfazione delle volontà di gendo e basta di ricongiungersi con la moglie, quasi un capriccio.
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