In questo periodo che la moda comunicativa piace identificare come transizione ecologica, mi sono ritrovato nella timeline sia di twitter sia di mastodon discorsi su e intorno all'energia nucleare. Per cui mi è sembrato un buon periodo per provare a scrivere qualcosa su un annuncio fatto un po' di tempo fa dal MIT: MIT-designed project achieves major advance toward fusion energy.
Avete letto bene: fusione, con evidente riferimento al processo di fusione nucleare.
L'energia nucleare che ci circonda, quella su cui si basano i processi che vengono studiati nella ricerca nucleare di base, è sostanzialmente di due tipi: la fissione e la fusione.
Nella fusione nucleare, un nucleo pesante, urtando con un neutrone, viene spaccato in due nuclei più leggeri, generando energia. E' un processo che avviene in natura, in piccole quantità, producendo la così detta radiazione naturale, ma che dopo la prima fissione artificiale del 1932 realizzata da Ernest Walton e John Cockcroft è stata diffusamente utilizzata dagli uomini. Gli usi sono stati sostanzialmente di due tipi: bellico e civile. Al di là della devastazione causata dall'uso bellico, che è anzi da considerarsi un'aggravante, i due usi condividono un elemento piuttosto negativo: i residui della produzione di energia, le così dette scorie radioattive. Queste, nel caso dell'esplosione di una bomba, contaminano l'area circostante per decenni, mentre nel caso della produzione di energia in appositi impianti costringono a implementare delle procedure di stoccaggio in (si spera) sicurezza delle stesse.
Gli inconvenienti relativi alla fissione nucleare sono dunque molti, senza contare il successo mediatico in negativo degli incidenti nucleari (anche se la cosa non ha impedito la costruzione di diverse centrali nucleari nel mondo), per cui l'interesse intorno alla possibilità di realizzare artificialmente la fusione nucleare è sempre stato più o meno alto.
La fusione è, in breve, quello stesso processo con cui le stelle producono energia: gli atomi di idrogeno vengono fusi insieme per produrre atomi di elio con un rilascio di energia, una cui porzione ci giunge sulla Terra.
Il problema principale che ci si porta dietro dagli anni Sessanta del secolo scorso è quello del bilancio positivo tra l'energia usata per accendere il processo di fusione e quella prodotta alla fine. Al momento esistno due approcci differenti per la costruzione di un impianto in grado di produrre energia da fusione nucleare: il confinamento magnetico del plasma nucleare, che usa allo scopo dei campi magnetici relativamente intensi prodotti da un tokamak, e il confinamento inerziale, che fa uso dei laser (quella che ho definito alcuni anni fa come la fusione laser).
Il progetto portato avanti dal MIT (e in cui, come si vede spulciando sul sito del Commonwealth Fusion System, è coinvolta anche l'ENI) ricade nel confinamento magnetico. Il gruppo di ricerca coinvolto, infatti, è riuscito a realizzare un magnete superconduttore in grado di generare un campo magnetico di intensità superiore rispetto ad altri dispositivi, prefigurando così un salto tecnologico decisamente interessante nello sviluppo della fusione nucleare artificiale.
Ovviamente stiamo parlando di una semplice dimostrazione della fattibilità del sistema, ma ancora chissà quanti decenni dovremo aspettare per vedere il primo impianto di produzione di energia a fusione nucleare. Per cui, nell'attesa, dovremo trovare una serie di soluzioni differenti, come ad esempio puntare sulle energie alternative (altro campo in cui il MIT sta sviluppando nuova tecnologia) come ad esempio i pannelli solari o le pale eoliche, senza dimenticare la necessità di implementare sistemi di cattura dell'anidride carbonica (come ad esempio il rimboschimento della superficie della Terra, ma so che questa è una proposta decisamente estremista), che risultano sempre più necessari indipendentemente dall'efficacia delle politiche di riduzione delle emissioni di CO2.
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