Questo pensiero di esclusività è rimasto per diversi secoli, anche dopo l'avvio delle ricerche sull'intelligenza artificiale. D'altra parte il parere era ampiamente condiviso da molti scienziati nel passato che si trovarono a pensare alla questione di un'intelligenza artificiale, come ad esempio Ada Lovelace.
A costringerci a cambiare paradigma, però, fu Alan Turing, che diede enfasi a due approcci particolari, uno quello di costruire una macchina in grado di giocare a scacchi e l'altro quelli di insegnare alla macchina:
Molte persone pensano che un'attività molto astratta, come giocare a scacchi, sarebbe la scelta migliore. Si può anche sostenere che è meglio fornire alla macchina i migliori organi di senso che i soldi possono acquistare e poi insegnarle a comprendere e parlare inglese. Questo processo potrebbe seguire l’insegnamento normale di un bambino. Le cose dovrebbero essere indicate e nominate, ecc. Ancora una volta non so quale sia la risposta giusta, ma credo che entrambi gli approcci debbano essere processati.Negli ultimi anni la ricerca sull'intelligenza artificiale si è concentrata soprattutto sull'aspetto "educativo", ovvero sull'istruire la macchina, o per meglio dire gli algoritmi della macchina, a riconoscere strutture di ogni tipo: letterarie, visive e anche musicali. In quest'ultimo campo mi viene in mente la ricerca per identificare l'autore di un particolare accordo di A hard day's night dei Beatles.
Per contro, però, la ricerca per riuscire a far produrre musica alle I.A. è anche andata per la sua strada e di esempi ce ne sono vari in giro: ad esempio mi viene in mente la musica frattale, ma in generale l'applicazione degli algoritmi alla generazione di musica è un'attività consolidata da diversi anni. Niente di veramente paragonabile alla musica umana, a ben vedere, ma è indubbiamente un primo passo, cui è sostanzialmente seguito un secondo, grande passo: la capacità di completare l'opera scritta da qualcun altro.
Per motivi essenzialmente di salute, Ludwig van Beethoven non riuscì a completare la sua decima sinfonia, lasciando però solo alcuni appunti musicali sparsi. Ovviamente la curiosità di capire in che direzione sarebbe andato il maestro è rimasta in tutti gli appassionati di musica classica e in particolare di Beethoven. Il completamento di questa sinfonia nel modo più fedele possibile allo stile di Beethoven risultava, quindi, una sfida particolarmente interessante per qualunque ricercatore nel campo dell'intelligenza artificiale. La sfida è stata colta al volo da Ahmed Elgammal che si è occupato proprio di programmare l'I.A. che avrebbe dovuto completare con stile beethoviano la Decima sinfonia. Non era l'unico componente del team, ma insieme con Walter Werzowa, Mark Gotham, Robert Levin, il gruppo ha raccolto tutte le informazioni possibili sulla struttura e lo stile compositivo di Beethoven, realizzando un database di informazioni che potesse istruire opportunamente l'I.A. e poi questa, opportunamente programmata, potesse produrre un'opera che risultasse il più coerente possibile con la produzione di Beethoven. E il risultato, che ha superato il vaglio degli esperti del campo, lo potete ascoltare qui sotto
Grazie caro Gianluigi, articolo molto interessante che ho letto con vero piacere. Questo crocevia tra tecnica ed espressività artistica, tra scienza ed arte, è sempre fantastico da percorrere e pieno di sorprese, come questa Decima ricostruita, che ho ascoltato stamattina per la prima volta.
RispondiEliminaE comunque sia, senza nulla negare alla potenza della intelligenza artificiale, ascoltando queste note mi sono trovato a rimpiangere come non mai, il fatto che un genio come Beethoven non sia vissuto qualche anno - forse appena qualche mese - di più. Se non altro per portare avanti quegli appunti che un ascolto come questo, mi hanno rivelato nella loro preziosità. Siamo orfani di un capolavoro, probabilmente, e l'unica cosa che ci sostiene è che non sappiamo cosa abbiamo perso. O meglio, un poco lo sappiamo, adesso...
Non posso che essere d'accordo!
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