Stomachion

giovedì 21 febbraio 2019

Una micro storia degli acceleratori di particelle

Oggi pomeriggio sarei dovuto andare a Parabiago per l'ultima conferenza del ciclo di quest'anno dell'autoaggiornamento degli insegnanti del liceo Cavalleri, ma per problemi intercorsi all'altro relatore, l'incontro è stato rinviato a data da destinarsi. Ero abbastanza deciso a non pubblicare nulla sull'argomento della ricerca sperimentale sulle particelle elementari, ma avendo pronta la presentazione ed essendo essenzialmente basata su articoli già presenti su questo blog, alla fine ho deciso di pubblicare un paio di note con i link agli articoli e aggiungendo giusto quelle due o tre informazioni storiche sugli acceleratori.
Una storia di scoperte
Abbiamo già visto ampiamente la ricca storia legata alle scoperte di elettrone, protone, neutrone e neutrino. Se da un lato hanno contribuito dal punto di vista sperimentale allo sviluppo e alla verifica del Modello standard delle particelle elementari, dall'altro tutti gli esperimenti condotti erano in qualche modo "artigianali" e caratterizzati da un denominatore comune: targhetta fissa. Ovvero si bombardano alcuni atomi con delle particelle che vengono accelerate da un dispositivo progettato allo scopo. L'idea è, ovviamente, quella di far acquisire alle particelle stesse l'energia necessaria per superare i legami atomici e penetrare all'interno del nucleo stesso per interagire con i suoi componenti. Per accelerare le particelle, però, vennero perfezionati, quasi contemporaneamente, due dispositivi che portarono a un livello superiore la ricerca sulle particelle elementari:
  1. Nel 1931 Robert van de Graaf inventa l'acceleratore elettrostatico o a caduta di potenziale, ovvero un dispositivo che, tramite un'opportuna differenza di potenziale, accelera le particelle fino all'energia desiderata (si arrivava fino a un massimo di una decina di MeV, se non ricordo male)
  2. Nel frattempo nel 1928 Rolf Wideröe proponeva nella sua tesi di dottorato il progetto di un acceleratore lineare, che in pratica era concepito come una serie di acceleratori elettrostatici messi uno di seguito all'altro.
Oltre al problema di non poter accelerare le particelle oltre certe energie, c'era anche il problema di non poter accelerare tutte le particelle, visto che il campo elettrico all'interno dell'acceleratore fornisce energia solo alle particelle in fase con il campo. Per ovviare al primo problema arriva il ciclotrone, inventato nel 1930 da Ernest Orlando Lawrence. Questi altro non è che un anello all'interno del quale, tramite opportuni campi elettrici e magnetici, vengono acelerati due fasci di particelle per scontrarsi alla fine uno contro l'altro. Questo implicava che, a parità di accelerazione con quello lineare, all'interno del ciclotrone durante l'urto tra i fasci l'energia totale a disposizione veniva automaticamente raddoppiata.
Il miglioramento successivo al ciclotrone avviene negli anni quaranta del XX secolo grazie a Donald William Kerst e al suo betatrone, progettato per accelerare gli elettroni, che nel ciclotrone non ci si trovavano molto bene a viaggiare. Successivamente arrivarono i sincrotroni, nome dovuto al fatto che i campi elettrico e magnetico sono sincronizzati con il fascio di particelle iniettato nell'anello.
E di tutti i sincrotroni, il più famoso è indubbiamente l'LHC del CERN di Ginevra.
Ovviamente non posso non citare le scoperte sperimentali dei bosoni $W^\pm$ e $Z^0$ di Carlo Rubbia e Simon van der Meer o quella ben più famosa del bosone di Higgs, a proposito del quale vi ricordo sia della più recente rilevazione, avvenuta nel 2018, sia del fatto che, a quanto pare, >il bosone di Higgs non mostra alcuna interazione gravitonica, il che non esclude certo l'esistenza dei gravitoni, ma li rende un po' meno probabili (certo poi qualcuno deve anche andare a dirglielo, che non esistono!).

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