Sono le 22:17. Alla stessa ora del 20 luglio del 1969, quindi esattamente 50 anni fa, mentre in diretta televisiva Tito Stagno dagli studi Rai di Roma e Ruggero Orlando dal centro spaziale della Nasa a Houston battibeccavano sul momento esatto, il resto del mondo esultava perché il modulo lunare Eagle si era posato sulla superficie del nostro satellite. A bordo del modulo, parte della più complessa missione spaziale denominata come Apollo 11, c'erano Neil Armstrong, comandante della missione stessa, e il suo secondo Edwin Aldrin. Nel frattempo, sulle loro teste, stava in orbita a bordo della capsula orbitale Columbia il terzo componente della missione, Michael Collins.
Nato in un certo senso per caso a Roma il 31 ottobre del 1931 (il padre era militare presso l'ambasciata statunitense in Italia), divenne pilota presso l'accademia militare di West Point, per poi venire selezionato come astronauta dalla Nasa nel 1963.
La sua prima missione spaziale fu sulla Gemini 10, durante la quale compì un rendezvous e una lunga attività extraveicolare insieme con John Young. Successivamente, a causa di un'ernia del disco, non potè far parte dell'equipaggio dell'Apollo 8. La sua stessa carriera era in forse, ma un intervento chirurgico gli permise di compiere la sua seconda missione spaziale, quella dell'Apollo 11.
Il modulo di comando dove Collins attendeva il rientro dei suoi compagni di missione era stato progettato appositamente per trasportare verso la Luna e successivamente verso la Terra il modulo lunare. Nel modulo di comando, inoltre, erano presenti anche tutti gli strumenti necessari per il rientro sul pianeta, una serie di propulsori per la gestione dell'assetto, il carburante corrispondente, l'acqua e le postazioni per gli astronauti.
L'attesa di Collins e del resto del mondo, ad ogni modo, si sarebbe protratta ancora per altre sei ore. Poi...
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