Stomachion

sabato 6 luglio 2019

Al tempo di papà

Quando ho acquistato il volume che raccoglie l'opera di Jiro Taniguchi ero ben conscio che la sua lettura sarebbe stata difficile per via della trama: un uomo che torna a casa per via della morte del padre. Alla fine la lettura è stata in un certo senso più semplice del previsto, soprattutto per l'assenza del racconto della malattia del padre.
Il protagonista è lo stesso di Allevare un cane, ma la sua caratterizzazione grafica è a metà strada tra quel protagonista e L'uomo che cammina, contribuendo un po' alla confusione del lettore che, come avevo scritto in occasione dei primi due volumi della raccolta, prende i due protagonisti come un unico personaggio, in parte una rappresentazione dell'autore stesso.
In effetti gli unici elementi biografici presenti nell'opera sono l'incendio di Tottori, che anche i genitori di Taniguchi hanno vissuto, e il suo non tornare spesso al suo paese d'origine. Anche il mangaka, come il protagonista de Al tempo di papà, ha spesso trovato mille scuse per non tornare al suo paese d'origine, ma a differenza di Yoichi è ritornato ben prima della morte del padre.
Torniamo alla storia che Taniguchi vuole narrare, quella di una famiglia che, a causa del devastante incendio di cui sopra, perde tutto e deve ricostruirsi una vita da zero. Questo ricominciare dal basso alla fine spezza il suo legame fondamentale, quello tra marito e moglie, tra padre e madre. La coppia, infatti, viene a ritrovarsi sempre più separata dalle differenze sociali d'origine, con l'uomo orgoglioso della sua indipendenza e del suo desiderio di potersi rialzare con le sue sole forze e la donna che invece, non comprendendo questo desiderio, spinge e poi ottiene un prestito dai genitori, che lega il marito a lavorare per la maggior parte del tempo per estinguere un debito che probabilmente la famiglia di lei non avrebbe mai voluto indietro.
Da un lato è allora una storia di incomprensioni: l'incomprensione tra marito e moglie, ma anche tra il figlio ed entrambi i suoi genitori, quel padre duro e orgoglioso e quella madre lieve e in qualche modo superficiale. Forse non è un caso, allora, se il fratello di lei è rimasto molto più legato al cognato e ai nipoti che non alla sorella. E in questi complicati legami affettivi risiede buona parte delle motivazioni che hanno spinto il protagonista a non tornare più nella sua città natale, reagendo in maniera completamente opposta rispetto a quanto fatto dalla sorella.
La morte del padre diventa, allora, un momento di riflessione non solo sul suo genitore, ma anche sulla sua vita: significative le lacrime versate alla fine del penultimo capitolo, con un'inquadratura identica a quella dell'ultima vignetta del primo capitolo, quando ancora il figlio non sembrava voler versare alcuna lacrima.
In effetti è stata proprio questa assenza di lacrime all'inizio della storia, in netto contrasto con le lacrime versate a suo tempo, a darmi la spinta finale ad acquistare questo quarto volume della raccolta dedicata a Taniguchi.
Al tempo di papà allora non è una storia su un dolore, ma piuttosto su una ricostruzione a partire dall'astio nei confronti dei genitori. Ed è qui che risiede la reale difficoltà della lettura: non tanto nel ritrovarsi nel lutto con il protagonista, che non ha vissuto l'agonia del padre, quanto nel ritrovarsi nella sua situazione di lontananza, nel condividere le difficoltà a ritornare verso le proprie origini. Le motivazioni sono differenti (sebbene i figli hanno sempre ottimi motivi per avercela con i genitori, come giusto che sia) tra il protagonista e il me lettore, ma il risultato finale è in qualche modo analogo.
In conclusione, Al tempo di papà è un'opera intensa, non tanto per la profondità narrativa, quanto perché, anche in funzione dell'età e della situazione familiare del lettore, lo costringe a riflettere su se stesso man mano che i ricordi del protagonista si susseguono fino al finale. Quel finale che, personalmente, mi rende manifeste quelle difficoltà che conosco già da anni, rendendo la lettura personale come avevo previsto, ma non per i motivi che credevo.

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