Ecco quanto avremmo fatto: l'elettrolisi dell'acqua. Era un'esperienza di esito sicuro, che avevo già eseguito varie volte a casa: Enrico non sarebbe stato deluso. Presi acqua in un becher, vi sciolsi un pizzico di sale, capovolsi nel becher due barattoli da marmellata vuoti, trovai due fili di rame ricoperti di gomma, li legai ai poli della pila, e introdussi le estremità nei barattoli. Dai capi saliva una minuscola processione di bollicine: guardando bene, anzi, si vedeva che dal catodo si liberava su per giù il doppio di gas che dall’anodo. Scrissi sulla lavagna l'equazione ben nota, e spiegai ad Enrico che stava proprio succedendo quello che stava scritto lì. Enrico non sembrava tanto convinto, ma era ormai buio, e noi mezzo assiderati; ci lavammo le mani, comperammo un po' di castagnaccio e ce ne andammo a casa, lasciando che l'elettrolisi continuasse per proprio conto.
Il giorno dopo trovammo ancora via libera. In dolce ossequio alla teoria, il barattolo del catodo era quasi pieno di gas, quello dell'anodo era pieno per metà: lo feci notare ad Enrico, dandomi più importanza che potevo, e cercando di fargli balenare il sospetto che, non dico l'elettrolisi, ma la sua applicazione come conferma alla legge delle proporzioni definite, fosse una mia invenzione, frutto di pazienti esperimenti condotti nel segreto della mia camera. Ma Enrico era di cattivo umore, e metteva tutto in dubbio. - Chi ti dice poi che sia proprio idrogeno e ossigeno? - mi disse con malgarbo. - E se ci fosse del cloro? Non ci hai messo del sale?
L'obiezione mi giunse offensiva: come si permetteva Enrico di dubitare di una mia affermazione? Io ero il teorico, solo io: lui, benché titolare (in certa misura, e poi solo per "transfert") del laboratorio, anzi, appunto perché non era in condizione di vantare altri numeri, avrebbe dovuto astenersi dalle critiche. - Ora vedremo, - dissi: sollevai con cura il barattolo del catodo, e tenendolo con la bocca in giù accesi un fiammifero e lo avvicinai. Ci fu una esplosione, piccola ma secca e rabbiosa, il barattolo andò in schegge (per fortuna lo reggevo all'altezza del petto, e non più in su), e mi rimase in mano, come un simbolo sarcastico, l'anello di vetro del fondo.
Ce ne andammo, ragionando sull’accaduto. A me tremavano un po' le gambe; provavo paura retrospettiva, e insieme una certa sciocca fierezza, per aver confermato un'ipotesi, e per aver scatenato una forza della natura. Era proprio idrogeno, dunque: lo stesso che brucia nel sole e nelle stelle, e dalla cui condensazione si formano in eterno silenzio gli universi.
Stomachion
mercoledì 31 luglio 2019
Primo Levi e l'elettrolisi dell'acqua
Primo Levi, chimico e soprattutto scrittore. Viene ricordato soprattutto per Se questo è un uomo e più in generale per il suo impegno nel ricordare la deportazione degli ebrei durante il periodo del fascismo. La chimica entrò nei suoi scritti in maniera più o meno timida, ma ebbe un ruolo particolare, quasi fondamentale ne Il sistema periodico, suo quinto libro uscito nel 1975, una raccolta di racconti, 21, i cui titoli erano altrettanti elementi della tavola periodica. Buona parte di questi racconti hanno alcuni elementi biografici, e in particolare vi propongo un estratto da Idrogeno dove Primo Levi, insieme con l'amico Mario Piacenza, qui chiamato Enrico, utilizzano il laboratorio casalingo del fratello maggiore di Piacenza per svolgere alcuni esperimenti, prima con il vetro e alla fine con l'idrogeno: l'elettrolisi dell'acqua, come ricorda lo stesso Levi nel testo che segue:
Oggi 31 luglio ricorre il centenario della nascita di
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