Stomachion

giovedì 22 agosto 2019

The Nest: l'oscura oppressione della famiglia

In poche parole: "The Nest" mostra usando un'estetica kubrikiana l'orrore e l'ipocrisia della società matriarcale e maschilista italiana.
Sin da quando ho iniziato a vedere il trailer di The Nest ho avuto ben chiare alcune cose: era un film italiano apparentemente di genere horror o comunque piuttosto oppressivo; avevo il forte desiderio di andarlo a vedere anche solo per la storia che si intuiva dal trailer stesso.
Quelle poche scene, infatti, lasciano intuire di una comunità estremamente ristretta, con una madre che tiene letteralmente segregato il figlio nella tenuta di famiglia, crescendolo per seguire un programma ben preciso: far fruttare la tenuta e costruire una nuova società. Il tutto condito da un'ambientazione, come detto, oppressiva all'interno di una casa gigantesca. Il film di Roberto De Feo, alla fine, non tradisce le attese, almeno non le mie: di fatto è per lo più un noir che, grazie ad un paio di scene horror o in qualche modo soprannaturali può essere più genericamente classificato come gotico o neo-gotico. In generale il genere con cui è pubblicizzato è calzante fino a un certo punto, visto che il genere esatto non può essere fornito senza fornire uno spoiler eccessivo sul finale.
Lo stile narrativo è un alternarsi tra momenti oppressivi e psicologicamente intensi, ad altri più leggeri, in particolare le scene di interazione tra i due giovani protagonisti, il decenne Samuel, costretto su una sedia a rotelle, e la quindicenne Denise, che in parte ricorda Raven, l'anti-supereroina dei Titans. La trama, invece, ruota intorno alle bugie che la madre e il resto della cerchia familiare raccontano a Samuel e molte delle scene e delle battute risultano molto più chiare una volta giunti al finale, un piccolo colpo di scena quasi inaspettato: alcuni dettagli, in effetti, forniscono indizi, come ad esempio l'arredamento che è un patchwork di varie epoche per lo più del XX secolo che danno la sensazione di una casa (e per traslato di una vicenda) sospesa nel tempo, quasi una favola nera.
Il tema centrale, però, e qui non sono molto d'accordo con Gabriele Niola che punta tutto sulla borghesia, è tipicamente italiano: il rapporto protettivo fino all'eccesso delle famiglie italiche nei confronti dei figli, spesso intesi come una proprietà esclusiva della famiglia stessa. In particolare il film di De Feo si concentra sul rapporto tra le madri e i figli, soprattutto quelli maschi, su come questi vengono cresciuti alternando bastone e carota, ma facendo comunque di loro il centro del mondo, un mondo chiuso e ristretto dove qualunque ingerenza esterna è considerata un male, a meno che non sia approvata dalla madre o non si adegui alle sue regole. In questo senso Denise assolve perfettamente al suo ruolo, fino alla fine, ovvero colei che è destinata a distruggere le regole familiari, rompere le illusioni costruite dalla madre e gettare nel mondo il figlio maschio, in un vero e proprio bagno di umiltà e panico.
La confezione estetica, però, è poi di gran livello: le inquadrature ricordano due registi ossessionati dalla simmetria, Stanley Kubrik e Wes Anderson. L'influenza di Kubrik, però, è più presente: i personaggi parlano senza che le loro parole ci giungano all'orecchio, ma il senso di ciò che si raccontano è chiaro dai gesti compiuti, mentre alcune delle scene più oscure, accompagnamento musicale incluso, ricordano molti dei film di Kubrik, su tutti Arancia Meccanica. In altri punti il film sembra quasi hitchcockiano, anche se il pensiero va prima a un'altra pellicola di genere, che non cito per non fornire eccessivi indizi.
Tra gli attori su tutti spiccano Francesca Cavallin, la madre, e soprattutto Maurizio Lombardi che sembra uscito da uno dei classici horror della Hammer Film, quelli con attori del calibro di Peter Cushing o Cristopher Lee. E d'altra parte anche fisicamente Lombardi ricorda questi due grandi attori. All'elenco aggiungerei anche Boris Karloff: in effetti il personaggio interpretato da Lombardi è una fusione perfetta tra il mostro di Frankenstein e il suo creatore.
Due parole conclusive sull'unica canzone pop/rock presente nel film, Where is my mind dei Pixies. Eseguito al piano dal protagonista, Samuel, fa parte dell'album d'esordio del gruppo, Surfer Rosa, album che classifica sin dagli esordi la band statunitense nel grande claderone del rock alternativo.

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