Stomachion

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venerdì 29 marzo 2019

Le grandi domande della vita: elettroni, neutroni e litigi di quartiere

Come ormai si stanno stabilizzando i post della rubbrica de Le grandi domande della vita, la prima parte è ampia e dedicata a un argomento che merita un certo approfondimento. Nella sua incarnazione mensile l'argomento principale non è sempre tratto da una domanda su quora, ma non è questo il caso, sebbene in qualche modo possa essere considerato come il passo successivo alle grandi scoperte sperimentali sulle particelle che hanno dato il via alla rivoluzione quantistica nei primi due decenni del XX secolo.
La caduta a spirale dell'elettrone
Uno dei motivi per cui si può tranquillamente affermare che la meccanica quantistica non è semplice da comprendere è che torna più o meno sempre una domanda tipo: come mai l'elettrone non cade dentro il nucleo?
La storia inizia con Ernest Rutherford. Se ricordate nella serie delle scoperte, avevamo visto come il fisico neozelandese aveva giocato un ruolo fondamentale nella scoperta del protone.
Rutherford, all'inizio del XX secolo, si trovava a Cambridge presso il prestigioso Cavendish Laboratory diretto da Joseph John Thomson che, dopo aver scoperto l'elettrone nel 1897, aveva proposto il famoso modello a panettone per l'atomo, ovvero una distribuzione di carica positiva con all'interno le cariche negative sparse qua e la come l'uvetta in un panettone. Rutherford, però, nel 1909 conducendo una serie di esperimenti con delle lamine d'oro scoprì che all'incirca una particella alfa su ottomila veniva respinta indietro. Dopo aver ripetuto l'esperimento varie volte, il fisico neozelandese concluse che l'unica spiegazione plausibile per tale comportamento era che all'interno dell'atomo doveva esistere un centro di carica positiva, mentre l'elettrone, la carica negativa, ruotava intorno a tale nucleo. Successivi esperimenti scoprirono che il nucleo occupava un millesimo di miliardesimo del volume dell'atomo con una massa del 99.98%: l'atomo era dunque una immensa distesa di vuoto, proprio come il Sistema Solare.
A causa dell'incredibile fiducia che i fisici riponevano nella meccanica dell'epoca, ovvero nelle leggi che oggi identifichiamo come "fisica classica" sviluppate da Galileo Galilei, Isaac Newton e raffinate da James CLerck Maxwell, nessuno all'epoca si era chiesto come mai l'elettrone non cadesse all'interno del nucleo. In realtà il modello di Rutherford destò l'interesse di Niels Bohr che, nel 1912, si ritrovò a lavorare proprio con Rutherford. La possibilità di accedere ai dati sperimentali del grande fisico, permise al teorico danese di constatare una certa incompatibilità tra il modello di Rutherford e le equazioni di Maxwell: secondo queste ultime l'elettrone avrebbe dovuto perdere energia a ogni giro, ridurre il raggio della sua orbita e finire inevitabilmente all'interno del nucleo in quella che può essere vista come una vera e propria caduta a spirale.
Quindi la conclusione doveva essere una di queste due: o gli esperimenti di Rutherford erano sbagliati o le equazioni di Maxwell non erano lo strumento matematico corretto per descrivere il comportamento di un elettrone all'interno dell'atomo.
Bohr optò per la seconda ipotesi, confortato dai risultati teorici ottenuti da Max Planck e Albert Einstein nel decennio precedente: Niels, infatti, avanzò l'ipotesi che l'elettrone nel nucleo può muoversi solo a determinate orbite. Ciascuna di queste orbite è associata a una diversa energia e l'elettrone può salire a un'orbita superiore solo se acquista un'energia pari alla differenza tra le due orbite, oppure se l'elettrone è su un'orbita superiore, può scendere a quella inferiore rilasciando sotto forma di fotone una quantità di energia pari alla differenza tra i due livelli: nasceva il modello dell'atomo di idrogeno di Bohr.
L'eleganza dell'idea venne accompagnata dalla correttezza dei risultati: il modello di Bohr era in grado di prevedere correttamente tutti i livelli dello spettro dell'idrogeno, ma già quando si provava ad applicare il modello all'elio, modello ed esperimenti non erano più in accordo. Era necessario introdurre qualche nuovo elemento nella faccenda. Il primo nuovo elemento lo introduce Louis de Broglie suggerendo che, così come la luce intesa come onda mostra comportamenti particellari, allora anche le particelle come gli elettroni possono mostrare comportamenti ondulatori. A partire da questo punto, Werner Heisenberg, ritiratosi sull'isola di Helgoland nel Mare del Nord per pensare meglio, elaborò la rappresentazione matriciale della meccanica quantistica che aveva come conseguenza il suo famoso principio di indeterminazione

martedì 5 dicembre 2017

Biografie essenziali: Werner Heisenberg

Heisenberg era uno sciatore provetto, giocava il ping-pong con la mano sinistra e, malgrado la sua grande fama di fisico, a Lipsia (dove era professore) era più conosciuto come eccellente pianista.
Da I trent'anni che sconvolsero la fisica di George Gamow, trad. Laura Felici

venerdì 21 aprile 2017

Le grandi domande della vita: Heisenberg

Dopo una lunga attesa ritornano Le grandi domande della vita. In questa puntata la parte del leone la fa il principio di indeterminazione di Heisenberg. Non mancherà la teoria dei numeri e un paio di curiosità che spero possano interessarvi!
Indeterminazione

da I trent'anni che sconvolsero la fisica di George Gamow
La domanda sulla correttezza o meno del principio di indeterminazione di Heisenberg per i fisici risulta assurda: il principio di indeterminazione è corretto. Ed è anche uno degli elementi fondamentali della meccanica quantistica: l'algebra dei commutatori, infatti, implica l'esistenza di principi di indeterminazione per ogni coppia di operatori che non commutano.
In questo caso gli operatori sono gli oggetti matematici utilizzati per rappresentare le grandezze fisiche. A differenza dei numeri usuali, per gli operatori la proprietà di commutazione, ovvero $a \cdot b = b \cdot a$, non vale in generale. Quindi quando due operatori non commutano, è possibile scrivere un principio di indeterminazione, che dal punto di vista della fisica implica che esiste un limite nella precisione con cui si possono eseguire misure contemporanee delle due grandezze.
Nel caso del principio di indeterminazione classico introdotto nel 1927 da Werner Heisenberg(1) questo implica che se vogliamo misurare la posizione di una data particella con la stessa precisione con cui misuriamo la quantità di moto, le due misure devono avvenire in momenti differenti.
In realtà questo fatto non dovrebbe essere nemmeno così stupefacente: le due grandezze sono correlate e l'errore sulla posizione può essere ricavato a partire dall'errore sulla quantità di moto e viceversa; d’altra parte è molto più semplice, classicamente parlando, una misura diretta della posizione rispetto a una della quantità di moto, che è una grandezza derivata della prima(2). Quindi l'errore sulla posizione influenza quello sulla quantità di moto.

mercoledì 7 settembre 2011

Fisica e filosofia

More about Fisica e filosofiaScrive Indro Montanelli in Storia dei greci:
La decadenza della filosofia, ridottasi oramai alla ricerca soltanto di norme morali e di condotta, favorì la scienza, che infatti ebbe in questo terzo e secondo secolo la sua massima fioritura.
In effetti con l'avvento della meccanica quantistica e della teoria della relatività generale, mentre gli scienziati andavano accettando e quindi usando queste due teorie, la filosofia si trovava un po' persa. Non è un caso se di filosofi della scienza se ne ricorda, e nemmeno molto bene (almeno tra i fisici che ho frequentato), uno solo nel XX secolo, quel Karl Popper che pretendeva di interpretare (o rinnovare) un metodo scientifico che, invece, nell'uso dei metodi statistici trovava il suo vero rinnovamento, in una situazione in cui le deviazioni dalla media non solo non erano considerate prove di falsificazione, ma potevano anzi essere conferme tanto quanto risultati all'interno della media.
E la filosofia, infatti, subì una netta scissione. In effetti i filosofi dell'antica grecia erano sostanzialmente dei tuttologi, che si occupavano un po' di tutto il campo del sapere, basti immaginare ad Aristotele o a Crisippo da Soli. E poi, secoli, dopo, venne Leibniz, il matematico che, non contento del calcolo infinitesimale, si occupò anche della logica, di fatto costruendo il formalismo di base utilizzato ancora oggi nella così detta logica classica. I filosofi, quindi, iniziano a diventare scienziati, ma è il XX secolo che da il colpo di grazia, a mio giudizio, grazie a Wittgenstein e Godel, due logici di così gran livello che è facile confonderli con i filosofi.
In un certo senso, dunque, la matematica ha fatto i conti con la filosofia ed è in un certo senso semplice tracciare il percorso che la lega alla logica. Altrettanto, però, si può fare per la fisica. Uno dei filosofi più noti, Democrito, infatti, fu il primo fisico atomico, in un certo senso, perché fu il primo a chiedersi se la materia fosse indefinitivamente divisibile o meno, deducendo alla fine che doveva esistere una sorta di quanto fondamentale di materia che chiamò proprio atomo. Ed è proprio dalla filosofia greca che prende le mosse il grande Werner Heisenberg per parlare del rapporto tra Fisica e filosofia.
Werner HeisenbergNella prima parte del suo saggio Heisenberg ha il primo obiettivo di convincere il lettore che la fisica è figlia e quindi erede della filosofia, e quindi con essa lo sono anche i moderni sviluppi della disciplina, ovvero relatività e teoria dei quanti. Il passo successivo è quello di tracciare i rapporti con le altre discipline, chimica su tutte, in quanto la più vicina alla fisica (in fondo il modello dell'atomo di Bohr è uno dei punti di partenza della meccanica quantistica). I maggiori problemi in questo discorso sono con la biologia, poiché al tempo di Heisenberg ancora non c'era alcun rapporto evidente con la fisica (oggi, ad esempio, si fanno largo descrizioni del dna che prendono in considerazione la fisica dell'entanglement). Il fisico, premio Nobel nel 1932, però si vedeva come possibilista almeno per la scoperta di una descrizione fisica di un sistema biologico, ma non sembra molto ottimista riguardo la scoperta di una qualsivoglia teoria definitiva. E in un certo senso il risultato di Godel di una decina di anni più tardi (se non ricordo male) sull'incompletezza della matematica sembrerebbe dare ragione a Heisenberg. Ad ogni modo, proprio come l'altro padre della teoria dei quanti, Schrodinger, anche Werner traccia la linea verso le ricerche interdisciplinari che oggi sempre più spesso stanno ottenendo attenzione e fondi.
Un altro punto fondamentale nella dissertazione di Heisenberg, a parte il capitolo dedicato alla relatività, è la difesa dell'interpretazione di Copenaghen, ovvero quella secondo cui la funzione d'onda rappresenta la densità di probabilità di trovare la particella in una data posizione.