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lunedì 22 luglio 2024

Matematica, lezione 23: I numeri complessi

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Anche per leggere questo 23.mo volumetto a firma di Marco Erba e Claudio Sutrini sono sufficienti le nozioni acquisite nelle scuole superiori e/o la lettura di volumi pregressi, senza necessità di aspettare ulteriori volumi futuri. Onestamente l'ho trovato molto chiaro nonostante la materia piuttosto astratta, anche grazie all'alternanza degli approcci algebrico e geometrico (ma non solo), che vengono portati avanti in parallelo nel corso dei capitoli. D'altra parte i numeri complessi sono delle entità che sono state difficili da digerire anche per i matematici, quindi l'idea di proporre un minimo di ridondanza è più che gradito.
A parte il secondo capitolo, più tecnico e lungo, gli altri propongono un approccio comunque molto divulativo, presentando un po' di storia sui numeri complessi, alcune applicazioni, in particolare nell'ambito della fisica e un ultimo capitolo più... filosofico, che dal punto di vista di un fisico teorico è stato piuttosto interessante. Emerge, infatti, la forte idea, secondo me un po' irrealistica, dei fisici di voler dare un senso di realtà ai modelli matematici che descrivono i fenomeni fisici, e non pensarli come dei semplici strumenti che, pur con una certa imprecisione, che è inevitabile nella descrizione del mondo, sono utili per orientarsi all'interno della conoscenza.
Di fatto la sensazione che emerge dalle citazioni illustri presenti nel libro è proprio quella che i fisici non siano, ancora oggi, riusciti a fare i conti con i numeri immaginari, a differenza dei matematici, più avvezzi al pensiero astratto. Il che, forse, mi spinge a consigliare il libro soprattutto ai fisici e poi a tutto il resto del mondo!
Per la sezione biografica Sara Zucchini ci racconta Bertand Russell, il logico e matematico vincitore del premio Nobel per la letteratura che cercò di seguire il sogno di David Hilbert di costruire le fondamenta della matematica. Il suo approccio partì dai lavori di Giuseppe Peano, ma alla fine si scontrò con i teoremi di incompletezza di Kurt Godel. Certo, se pensiamo al suo famoso paradosso, noto in termini divulgativi come il paradosso del barbiere, probabilmente ci andò molto vicino a scoprirlo, ma proprio perché in un certo senso "accecato" dal suo stesso programma, non se ne avvide.
Infine due parole sui giochi matematici di Maurizio Codogno che proseguono sulla falsa riga di quelli presenti nel volume precedente (ma questa volta non ci sarà alcun paralipomeno ispirato a essi... mi spiace).
In ogni caso l'argomento iniziato con questa 23.ma lezione verrà proseguito, stando al piano dell'opera, con il prossimo volumetto.

venerdì 1 febbraio 2019

Giuseppe Peano e il tacchino di Bertrand Russell

Un giorno il logico e matematico Bertrand Russell ideò la seguente storiella:
Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell'allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un'inferenza induttiva come questa: "Mi danno il cibo alle 9 del mattino". Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato.

Giuseppe Peano - via commons
L'idea di Russell era quella di criticare il metodo induttivo, in cui una serie di inferenze positive successive è considerata sufficiente per trarre una legge più generale su quanto accade nel mondo. Cardine del pensiero filosofico positivista, oltre a cozzare con la pratica sperimentale usuale in scienze come la fisica o la chimica, si scontra anche con il principio di induzione formulato nel 1889 da Giuseppe Peano nei suoi Arithmetices Principia. Peano elaborò cinque assiomi con lo scopo di definire l'insieme dei numeri naturali. Si dimostra che il quinto assioma è equivalente al principio di induzione e afferma che se una certa proprietà $P$ vale per $0$ e per un dato $n = k$, con $k$ numero naturale, e se essendo vera per $n$ è vera anche per $n+1$, allora la proprietà $P$ è vera per ogni numero naturale uguale o maggiore di $k$.
Su questo principio si basa la dimostrazione per induzione, che è cosa molto diversa e molto più solida del metodo per induzione dei positivisti.

venerdì 21 aprile 2017

Le grandi domande della vita: Heisenberg

Dopo una lunga attesa ritornano Le grandi domande della vita. In questa puntata la parte del leone la fa il principio di indeterminazione di Heisenberg. Non mancherà la teoria dei numeri e un paio di curiosità che spero possano interessarvi!
Indeterminazione

da I trent'anni che sconvolsero la fisica di George Gamow
La domanda sulla correttezza o meno del principio di indeterminazione di Heisenberg per i fisici risulta assurda: il principio di indeterminazione è corretto. Ed è anche uno degli elementi fondamentali della meccanica quantistica: l'algebra dei commutatori, infatti, implica l'esistenza di principi di indeterminazione per ogni coppia di operatori che non commutano.
In questo caso gli operatori sono gli oggetti matematici utilizzati per rappresentare le grandezze fisiche. A differenza dei numeri usuali, per gli operatori la proprietà di commutazione, ovvero $a \cdot b = b \cdot a$, non vale in generale. Quindi quando due operatori non commutano, è possibile scrivere un principio di indeterminazione, che dal punto di vista della fisica implica che esiste un limite nella precisione con cui si possono eseguire misure contemporanee delle due grandezze.
Nel caso del principio di indeterminazione classico introdotto nel 1927 da Werner Heisenberg(1) questo implica che se vogliamo misurare la posizione di una data particella con la stessa precisione con cui misuriamo la quantità di moto, le due misure devono avvenire in momenti differenti.
In realtà questo fatto non dovrebbe essere nemmeno così stupefacente: le due grandezze sono correlate e l'errore sulla posizione può essere ricavato a partire dall'errore sulla quantità di moto e viceversa; d’altra parte è molto più semplice, classicamente parlando, una misura diretta della posizione rispetto a una della quantità di moto, che è una grandezza derivata della prima(2). Quindi l'errore sulla posizione influenza quello sulla quantità di moto.