Disponibile fino a un paio di mesi fa, Event Horizon. Punto di non ritorno è ormai da considerarsi come un classico della fantascienza horror. Diretto da Paul William Scott Anderson, ha per protagonista Sam Neill, quello di Jurassic Park (ma non solo!), che interpreta il dottor William Weir, che ha progettato il motore che muove la Event Horizon, una gigantesca astronave che si era perduta nel cosmo e che è improvvisamente ricomparsa dopo 7 anni, nel 2047, nei pressi di Nettuno. A investigare sulla faccenda viene inviata la Lewis and Clark, il cui equipaggio è guidato dal capitano Miller, un sempre ottimo Laurence Fishburne, e ha come ospite proprio Weir in qualità di consulente. Tra i protagonisti si conta anche Joely Richardson (che ho anche recentemente visto ne Il colore venuto dallo spazio di Richard Stanley) il cui personaggio, il tenente Starck, riveste un ruolo importante nello sviluppo della trama.
Il punto centrale del film è, effettivamente, il motore della Event Horizon, che viene "venduto" da Weir come un vero e proprio buco nero artificiale. La sua attivazione, secondo quanto ricostruito dai diari di bordo e dalle informazioni fornite da Weir, potrebbe aver portato l'astronave in un'altra dimensione, un universo parallelo diabolico e deviato da cui ha trasportato nel nostro un'entità malvagia e diabolica. Con tutte le conseguenze del caso per l'equipaggio della Lewis and Clark.
Il primo elemento interessante del film, però, è proprio il titolo, nonché nome dell'astronave ritornata dall'inferno, Event Horizon: un riferimento all'orizzonte degli eventi di un buco nero, ovvero la superficie oltre la quale nulla, neppure la luce, è in grado di sfuggire alla gravità del buco nero.
D'altra parte il motore ideato da Weir è una variazione sul motore a curvatura di Star Trek. Il dispositivo è, infatti, in grado di sfruttare la gravità generata da una singolarità (come quella di un buco nero) per ridurre la distanza tra due luoghi molto distanti, avvicinandoli uno all'altro e riducendo il tempo necessario per metterli in collegamento. Questa cosa sarebbe effettivamente possibile grazie ai ponti di Einstein-Rosen. Tra l'altro alcuni particolari ponti di E-R sarebbero in grado di mettere in collegamento universi paralleli. La faccenda, però, sembra essere ancora più improbabile dell'esistenza dei ponti stessi.
Dettaglio interessante è l'uso dell'animazione sospesa, che avviene all'interno di una sorta di liquido amniotico: non serve solo per rendere la percezione del tempo di viaggio più breve per gli astronauti, ma anche per ammortizzare gli effetti dell'accelerazione dovuta al motore ionico della Lewis and Clark. Il nome di quest'ultima è un omaggio ai due naturalisti ed esploratori statunitensi Meriwether Lewis e William Clark.
Le ultime curiosità sono, infine, di genere pop. La trama del film, infatti, sembra adattarsi perfettamente all'universo narrativo del videogioco Warhammer 40.000, rilasciato nel 1987, ovvero dieci anni prima del film. I fan del videogioco ritengono Event Horizon come il prequel a Warhammer 40.000. Infine Spazio profondo su Dylan Dog #337, scritto da Roberto Recchioni, è ripreso passo passo proprio sulla trama di Event Horizon.
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